Maradona, i brindisi pericolosi con la camorra e quel pallone d'oro rubato

Maradona, i brindisi pericolosi con la camorra e quel pallone d'oro rubato
di Gigi Di Fiore
Martedì 1 Dicembre 2020, 00:00 - Ultimo agg. 16:45
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Ci toccò un compito ingrato, a me e al collega Elio Scribani nella Cronaca allora guidata da Peppe Calise. Ingrato come doversi occupare e scrivere, a volte per primi con inviti a trasmissioni Rai, altre con i colleghi di più giornali, delle pagine amare di Diego. Era il Maradona uomo, «vittima della sua fragilità e della sua solitudine» ha ricordato il suo storico avvocato penalista, Vincenzo Siniscalchi. Ci toccò e tutto cominciò nella terribile estate del 1989.

Quell’estate, Maradona era in Argentina e non rientrava. Si parlava di contrasti con il presidente Corrado Ferlaino, ma anche di minacce dei clan della camorra. Calise aveva avuto soffiate buone da ambienti giudiziari, con la conferma che alcune foto compromettenti su Maradona a casa della potente famiglia camorristica dei Giuliano di Forcella, di cui si vociferava da almeno un paio d’anni, esistevano. E si mosse. Ricordo che aveva un appuntamento a Castelcapuano, sua guida fu un avvocato, oggi scomparso, che difendeva clienti nell’indagine per droga su due coniugi di Forcella: Emilia Troncone e Raffaele De Clemente. E Peppe andò «a pesca», tornando con alcune di quelle 71 foto che il 27 febbraio 1986 la Squadra mobile di Napoli, guidata da Matteo Cinque, aveva sequestrato nel corso della perquisizione a Forcella in casa di Carmine Giuliano legata a quell’indagine. Foto tenute a lungo nascoste: Maradona nella famosa vasca a forma di conchiglia con Carmine Giuliano, uno dei fratelli boss scomparso per tumore schiavo della cocaina; il brindisi con Erminia Celeste Giuliano, la sorella. Il Mattino le pubblicò. Fu uno scoop, ripreso dai giornali di tutto il mondo.

Scrisse Calise, in un pezzo a quattro mani con Enzo Perez: «Diego Maradona si è lamentato perché il suo nome è stato associato a fatti di droga e camorra. È apparso addolorato. Nessuno vuole fare collegamenti diretti, ma è innegabile che certe voci circolano e circolavano. Perché?». Il tappo era saltato, le protezioni a Maradona franavano. E la sua assenza prolungata da Napoli alimentava sospetti.

 

Maradona lo avrebbe ammesso nel 2017. Quell’estate sentì a telefono Carmine Giuliano. Le foto avevano scatenato un putiferio e lui temeva ritorsioni. Aveva scritto il 6 marzo 1986 Matteo Cinque, nel suo rapporto sulle foto: «Non sfugge a quest’ufficio la strana presenza di Maradona in compagnia di pregiudicati inquisiti di associazione camorristica, ritenuti organizzatori del lotto e totocalcio clandestino. Appare opportuno procedere a ulteriori accertamenti per acclarare il ruolo del Maradona nel contesto sopramenzionato».

L’anno dopo, il Napoli avrebbe vinto il primo scudetto. Maradona in campo faceva scintille, incantava. Tutto fu messo a tacere. Eppure, il 3 dicembre del 1986, in gran segreto Diego fu sentito dai pm Lucio Di Pietro e Linda Gabriele. E spiegò: «Normali foto con tifosi, nel corso di festeggiamenti». A Carmine Giuliano piaceva vantarsi della conoscenza famosa e, sentito in Procura sempre nel 1986, dichiarò: «Sono un acceso tifoso di Maradona, un ultras come tutte le persone nelle foto. Dopo l’inaugurazione del Napoli club a Forcella, è stato a casa di tanti tifosi e anche a casa mia». 

Diego non si sottraeva, sempre disponibile con i tifosi, sottovalutava i clan di cui nulla sapeva. Erano passati solo due anni dall’apoteosi del 5 luglio 1984, con la presentazione al San Paolo dinanzi a migliaia di tifosi. E fu invitato all’inaugurazione del Napoli club a Forcella. Così lo descrisse il giornalista argentino Guillermo Blanco: «Era l’idolo arrivato nel cuore di Forcella, la Casbah napoletana. Arrivò con altri calciatori del Napoli. Fu un caos totale».

Naturalmente, Diego fu invitato dai Giuliano e nella loro casa accettò di brindare e farsi fotografare. Nell’estate del 1989, in contemporanea con la bomba delle foto, circolavano voci sulle minacce dei clan a Diego che temeva per le figlie e restava in Argentina. Diffuse un comunicato parlando di «complotto». «Se toccano le mie figlie, non giocherò più al calcio» disse a telefono a Carmine Giuliano che lo rassicurò: «Nessuno farà del male a te e alla tua famiglia».

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Maradona tornò e il 28 settembre del 1989 fu sentito come teste da Federico Cafiero de Raho, allora pm a Napoli, oggi procuratore nazionale antimafia, che indagava sulle minacce. Alla fine, il fascicolo fu archiviato. Poi, l’inchiesta su droga e prostituzione alla fine del 1990, che coinvolse il clan Lo Russo. Ci fu un processo e l’avvocato Siniscalchi ottenne per Maradona il patteggiamento a un anno e tre mesi. Quando l’otto febbraio 1991 Diego fu interrogato a Castelcapuano, ci mise tempo a salire in Procura al terzo piano. Centinaia tra agenti e dipendenti lo fermavano per foto e autografi. Quando scese, mi avvicinai per una dichiarazione. Mi gelò: «Sei del Mattino, con voi non parlo». Non aveva perdonato la pubblicazione delle foto. Ci volle tutto il tatto e l’abilità di Ciccio Marolda allo sport per recuperare il rapporto del Mattino con il campione. Ma il 1991 e l’anno successivo fu un susseguirsi di vicende, che dovemmo seguire: la droga, le prostitute, le amicizie discutibili. In via Chiatamone, venne uno strano personaggio, una ex guardia giurata che mi consegnò un memoriale. Era Pietro Pugliese. Pubblicammo e fu scoop con invito da Biscardi. Nel memoriale si parlava del pallone d’oro di Maradona rubato alla Banca della Provincia di Napoli che Diego tentò di recuperare interessando il clan Lo Russo di Miano e anche di risentimenti particolari verso tre giornalisti sportivi, tra cui Mimmo Carratelli del Mattino, con minacce. Andai anche a Como, dove si era trasferita Juana Bergara ex cameriera di casa Maradona. Chiese soldi per un’intervista e me ne tornai. Sciacalli si catapultavano sulle fragilità dell’uomo, insuperabile in campo. Poi la triste fuga nella notte da Napoli, il primo aprile 1991. «Voglio bene ai napoletani anche se c’è qualcuno che vuole mettermi contro di loro» dichiarò, Al processo a Roma, seguito alle dichiarazioni di Pugliese, non fu mai presente. Venne assolto. Indimenticabile per le sue prodezze di calciatore. Fu triste raccontare le sue fragilità, in una città che sa amare, ma riesce anche a stritolare i suoi miti. 
 

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