Maradona, Napoli e la camorra: «Diego e noi Giuliano, ecco la vera storia»

Maradona, Napoli e la camorra: «Diego e noi Giuliano, ecco la vera storia»
di Daniela De Crescenzo
Venerdì 27 Novembre 2020, 23:30 - Ultimo agg. 29 Novembre, 18:50
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«Non dimenticherò mai la notte in cui conobbi Maradona. Arrivò nella casa di mio zio, Luigi Giuliano, quando lui era in carcere e il palazzetto di vico Pace a Forcella era abitato da un altro dei miei zii, Carmine, che vi passava la latitanza. Al piano terra c’era una grande sala con un biliardo. Diego entrò, prese una boccia e se la mise sul piede. La palla rotava su se stessa e non cadeva.  

Restammo muti, poi Carmine lo abbracciò e gli disse: “Sei un mostro”. Lo toccava in continuazione e continuava a ripetere “Sei un mostro, sei un mostro”. Ma Maradona, invece, era Dio»: Luigi Giuliano, che oggi ha 48 anni e vive a Reggio Emilia dove si è trasferito dopo aver inanellato e pagato una lunga sfilza di reati, è il figlio di Nunzio Giuliano, il primo dei figli di Pio Vittorio, ed era lì con i suoi zii, Carmine e Raffaele quando fu scattata la famosa foto che li ritrae con Maradona accanto a una vasca da bagno a forma di conchiglia. Una foto che ha poi perseguitato el pibe.

Era il 1986 e Maradona era a Napoli da due anni. I Giuliano erano i «re» di Forcella, ma Nunzio, il primo dei figli di Pio Vittorio, il capostipite, si era già allontanato dal quartiere. Non aveva mai voluto fare il boss, racconta il figlio, e quando il primogenito aveva cominciato a drogarsi aveva tappezzato il quartiere di manifesti contro l’eroina.

Poi era andato a vivere a Chiaia, dove aveva sognato una vita diversa per sé e per i suoi figli. Poco tempo dopo era stato arrestato per accuse poi rivelatesi infondate dopo quattro anni di carcere. «E io e mio fratello ce ne tornammo a Forcella: là eravamo i Giuliano, ci sentivamo importanti. E facevamo quello che volevamo». Fu così che Luigi partecipò alla festa in onore di Diego Armando Maradona. 

 

«Carmine Giuliano era un patito del Napoli e chiese a un capotifoso di fargli incontrare Maradona», racconta Luigi che all’epoca aveva quattordici anni. «Era passata mezzanotte e noi ragazzi armati presidiavamo il quartiere per controllare che non ci fosse la polizia in giro. Ma Maradona è Maradona e io non volevo perderlo, perciò ogni tanto lasciavo il posto di guardia ed entravo nel palazzetto dove si svolgeva la festa. Lui, il nostro mito, era lì e rideva, scherzava con tutti. Mio zio gli stava accanto, lo abbracciava continuamente. Parlavano tra di loro, credo che discutessero soprattutto di pallone. E poi bevevano champagne. E ridevano, ridevano tanto».  

E la cocaina? «Credo che mio fratello ne avesse portata una busta, era un po’ come lo champagne, ravvivava la festa. Ma Maradona non era venuto a Forcella per quello. No. Lui era venuto per noi, era venuto perché noi glielo avevamo chiesto. Io credo che non si fosse assolutamente domandato se fosse giusto o meno andare da un camorrista, da un latitante. Lui era così, era uno che non si negava a nessuno. E quella era una festa con delle persone che lo adoravano. Lo ripeto: non era venuto per la coca, non era venuto per compiacerci e tantomeno perché qualcuno glielo aveva imposto, era venuto perché tramite un amico lo avevamo invitato. Era la star della festa e si divertiva come gli altri». 

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E poi ci fu la famosa foto, quella che anni dopo, ritrovata nel corso di una perquisizione, finita in un fascicolo sbagliato e poi pubblicata dal Mattino, diventò la prima avvisaglia di una vita in bilico. «La vasca a conchiglia era al piano superiore – racconta Luigi Giuliano – era nascosta da un armadio. Si entrava nel guardaroba e poi attraverso un’altra porta si andava nella stanza con la conchiglia dove Maradona si fece fotografare con i miei zii». 

Quella sera fu la prima che Diego passò con i Giuliano, ma non certo l’ultima. «Lui e Carmine diventarono amici – racconta Luigi – e continuarono a incontrarsi. Diego partecipò al matrimonio di mio cugino, anche lui Luigi Giuliano, che tutti chiamavano Zecchetella, e poi a feste e comunioni. Io, invece, lo ho incontrato spesso nei locali alla moda che frequentavamo entrambi. Ero un ragazzino anche se a quattordici anni giravo armato e guidavo auto e moto: facevo il gradasso, ma come tutti davanti a Diego mi ammutolivo». 

 

Nell’87 quando il Napoli vinsero il primo scudetto, i Giuliano trasformarono Forcella in un enorme ristorante, in un locale all’aperto dove l’intero quartiere brindò alla sua squadra e al suo capitano: Diego Armando Maradona. Fu festa di clan? «Noi eravamo Forcella – ricorda Luigi – I miei nonni con il contrabbando avevano dato lavoro a tutto il quartiere, noi e il rione eravamo una cosa». 

E Forcella, forse non era poi così diversa dal barrio di Buenos Aires dove era nato e cresciuto il ragazzo d’oro del pallone. Perciò Maradona e Forcella, erano destinati a intendersi. Al di là della cocaina, al di là della camorra. E la festa dello scudetto fu memorabile: fu costruita una tavola che dal Duomo arrivava fino a via Pietro Colletta. 

Tutto era azzurro e l’immagine di Diego copriva i muri insieme al magico scudetto. Notti magiche. Come magiche furono le giornate di tripudio del secondo scudetto. Poi cominciò il buio. Maradona andò via e la sua vita cominciò a essere divorata dalla cocaina. 

Nel 2005 Nunzio fu ucciso per una vendetta trasversale e i Giuliano tornarono a essere quello che in fondo erano sempre stati: non re, ma clan di malavita falciata da morti, latitanze, carcere e pentimenti. Una famiglia da cui fuggire. Diego no, Diego, drogato e maledetto, per Luigi e per i tanti ragazzini che lo sognarono, quelli buoni e quelli cattivi, è rimasto sempre e solo Dio. 

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