Il colonnello dei carabinieri Cortellessa: «Marano era il regno del clan Nuvoletta, il boss il primo a lucrare sui fondi Ue»

Il colonnello dei carabinieri Cortellessa: «Marano era il regno del clan Nuvoletta, il boss il primo a lucrare sui fondi Ue»
di Giuseppe Crimaldi
Mercoledì 8 Dicembre 2021, 12:00
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Rompe il silenzio dopo 31 lunghissimi anni, e per la prima volta svela come riuscì a catturare il superlatitante di camorra Lorenzo Nuvoletta. Oggi Luigi Cortellessa ha 59 anni e di carriera ne ha fatta da quando - giovane capitano dei carabinieri - venne spedito a comandare una compagnia di trincea dell'Arma qual era (e resta) quella di Giugliano. Cinque anni intensissimi scanditi da grandi successi investigativi: oltre a Nuvoletta - il boss di Marano considerato il mandante dell'omicidio del giornalista del Mattino Giancarlo Siani - riuscì ad assicurare alla giustizia anche un altro temutissimo ras di camorra, Gennaro Licciardi detto 'a scigna. Oggi Cortellessa veste i gradi di colonnello e comanda il Reparto Tutela Agroalimentare dei carabinieri. 

Che tempi erano quelli che visse da capitano a Giugliano?
«Erano gli anni immediatamente successivi alla fine della prima guerra di camorra combattuta tra i cutoliani della Nco e i fedelissimi di Alfieri della Nuova Famiglia. Anni nei quali la progressiva uscita dalle carceri degli affiliati a Raffaele Cutolo, i quali cercavano un riposizionamento all'interno delle fila camorristiche venivano decimati dalle vendette dei nemici di sempre. All'epoca la Compagnia di Giugliano aveva poi una competenza territoriale estesissima nell'area nord di Napoli, coprendo i Comuni di Giugliano, Marano, Mugnano, Melito, Calvizzano e Villaricca, aree ad altissima densità criminale».

È vero che ci fu un tentativo di far riconciliare gli esponenti della Nuova Camorra con quelli della Nuova Famiglia?
«Parrebbe, e sottolineo il condizionale, che per porre fine alla mattanza di camorra fosse stato convocato un summit, al quale avrebbero preso parte anche grossi esponenti di Cosa Nostra, della mafia italo-americana e dei calabresi.

In rappresentanza di Raffaele Cutolo sarebbe intervenuta la sorella, Rosetta. Ma quel vertice non sortì gli effetti desiderati».

E qui arriviamo a Lorenzo Nuvoletta e ai maranesi.
«Già, perché quel summit avrebbe fatto seguito a varie riunioni tenute a Poggio Vallesana, che era la masseria-bunker dei Nuvoletta».

Intanto ci racconti, qual era il clima che si respirava fuori?
«Si susseguivano episodi violenti: rapine con esiti sanguinosi, omicidi eclatanti, c'erano in movimento sul territorio almeno una decina di clan, ognuno dei quali imponeva la propria sfera d'influenza sui rispettivi spazi».

Lei in quegli anni, e ben prima che si commettesse l'omicidio di Siani, ebbe ad indagare anche sui due killer di Giancarlo.
«È così. Indagando sul clan Nuvoletta ebbi modo di imbattermi in Armando Del Core e Luigi Baccante: e per entrambi proposi la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza. Non ricordo però se poi venne loro applicata».

Perché venne assassinato Siani?
«La sua morte è legata agli articoli di denuncia che scriveva raccontando le malefatte del clan Gionta di Torre Annunziata, ma Lorenzo Nuvoletta ebbe - come emerge dagli atti processuali - un ruolo determinante. Valentino Gionta era nel cuore di Nuvoletta, che si muoveva da boss con una strategia precisa facendo da confederatore di cosche: non a caso Gionta era il suo riferimento per tutta l'area vesuviana. Ma Nuvoletta era anche il solo camorrista che aveva un posto di privilegio al tavolo delle riunioni di Cosa Nostra. Un pezzo da novanta, insomma».

Arriviamo alla data del 7 dicembre 1990, 31 anni fa. Come riuscì a stanare Lorenzo Nuvoletta, che era diventato ormai un imprendibile latitante?
«I latitanti, specialmente quando ricoprono anche un ruolo di capi,  sono persone che danno alla loro condizione di fuggitivi un valore altamente espressivo e simbolico: più dura la latitanza, più si rafforza la propria immagine di boss. Consideri che a Marano, tra affiliati e fiancheggiatori, Lorenzo Nuvoletta poteva contare su un esercito di oltre un migliaio di uomini e donne».

Addirittura?
«Certo. E aveva il completo controllo del territorio. Ecco perché decisi di muovermi seguendo una strategia precisa: quella dell'accerchiamento progressivo». 

Cioè?
«Iniziammo dalle piccole cose. Dai sequestri dei motorini sui quali viaggiavano i muschilli del clan, dagli esercizi commerciali senza licenze e dai cantieri edilizi abusivi, poi passammo agli assenteisti negli uffici pubblici. Cominciai a perquisire la cerchia dei familiari: i cugini, i compari di matrimonio e di cresima di Lorenzo, passando poi alla rete degli amici e dei fiancheggiatori. Ne aveva ovunque: nelle agenzie di pratiche assicurative, che gli garantivano la copertura delle polizze per le auto del clan, e persino nei bar e coloniali, dove dislocava le sentinelle pronte sempre a dare l'allarme in caso di qualche picchiata delle forze dell'ordine. Non solo. Per comprendere la potenza dei Nuvoletta bisogna spiegare che il clan si fondava su un solido rapporto familistico. I Nuvoletta erano dieci fratelli, e solo Lorenzo aveva nove figli. Sua madre era Maria Orlando, che a sua volta aveva cinque fratelli ed era imparentata con i Maisto di Giugliano. Una struttura criminale fortissima impostata sulla famiglia e suir apporti di sangue».

Torniamo a quel pomeriggio del 7 dicembre 1990...
«Dopo aver eroso progressivamente la rete di chi gli stava intorno, decidemmo di puntare al luogo nel quale normalmente non si immaginerebbe di trovare un superlatitante: casa sua. Giocai la carta della sorpresa, per gettare fumo negli occhi al clan: disposi un grande servizio di controllo stradale, con posti di blocco che impegnavano numerosissimi militari nell'area del quadrivio di Marano. Nessuno avrebbe immaginato, con tutto quello schieramento di forze impegnate su strada, che di lì a poco sarebbe scattato il blitz. Con 11 carabinieri del nucleo investigativo, tutti in borghese, salimmo a bordo di due auto civili sgangherate e ci dirigemmo a Poggio Vallesana. Lì avemmo anche un po' di fortuna, che in questi casi fa sempre bene: quando arrivammo era appena uscita una macchina e il cancello elettrico a difesa della masseria stava per chiudersi quando io, sceso dall'auto, riuscii a bloccarne la chiusura delle cellule fotoelettriche. Ci piombammo all'interno, puntando non verso l'abitazione di Lorenzo, ma verso quella del fratello, che mai avevamo perquisito prima».

E che successe?
«Trovammo Lorenzo seduto all'esterno, sotto un gazebo e intorno ad un tavolo al quale c'erano il figlio Ciro, Vincenzo Sciccone, Vincenzo Di Somma, Crescenzo Piccirillo ed un consigliere comunale della Dc, Francesco Santoro. Lorenzo non ebbe nemmeno il tempo di elaborare quello che stava succedendo».

Che reazione ebbe quando capì che eravate carabinieri?
«Ebbe prima un atteggiamento quasi di sussiego, poi diventò subito remissivo: Capitano, io sono solo un povero, piccolo agricoltore.., furono le prime parole che pronunciò, aggiungendo subito dopo: Adesso però non spaventate le donne che sono in casa».

E poi?
«Arrestammo lui e tutti gli altri presenti. Subito dopo avvertimmo la Procura, e poco dopo, in caserma a Giugliano, arrivarono gli allora sostituti Franco Roberti, Luigi Gay e Paolo Mancuso. L'arresto di Lorenzo Nuvoletto creò grande disorientamento nei clan di tutta l'area nord. Poco dopo venne sciolto il Comune di Marano per infiltrazioni mafiose. Oltre ad essere ritenuto il mandante di omicidi e altri fatti delittuosi, Nuvoletta fu il primo a operare truffe nel settore dei finanziamenti europei Aima nell'agricoltura».

Che cosa rappresentò questo arresto?
"
Fu una grande iniezione di fiducia per tutti i cittadini onesti. In quel periodo si era diffusa l'opinione strisciante che lo Stato non riusciva a stanare i boss latitanti, quasi che il fenomeno fosse sottovalutato. Quell'arresto determinò una conversione di opinioni e dimostrò che lo Stato c'era, anche a Marano».

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