Massacro di Ponticelli, il quartiere fa quadrato: ora la verità

Il caso si riapre 40 anni dopo: l''impegno della premier Meloni

Massacro di Ponticelli, il quartiere fa quadrato
Massacro di Ponticelli, il quartiere fa quadrato
di Giuliana Covella
Mercoledì 15 Marzo 2023, 11:00
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Era il 19 marzo 2013, quando Il Mattino annunciava in prima pagina la revisione del processo per il duplice delitto di Ponticelli. Un mistero lungo quarant'anni, di cui oggi si torna a parlare, affinché sia fatta giustizia per due bimbe uccise e tre ragazzi diventati uomini. Dopo l'ultima richiesta di riesame del processo, bocciata nel maggio 2013 dalla Corte di Appello di Roma, a distanza di decenni da quel barbaro reato Le Iene hanno riacceso i riflettori sul caso. Tanto che lo stesso presidente del Consiglio ha promesso che se ne interesserà, dopo aver ricevuto l'inviato Giulio Golia. Un caso portato all'attenzione dell'opinione pubblica anche attraverso la parlamentare Stefania Ascari, che ne ha discusso in seno alla commissione antimafia. Un caso soprattutto, è bene ribadirlo, frutto di un possibile errore giudiziario.

Ma procediamo con ordine. È il 2 luglio 1983, quando al Rione Incis, periferia orientale di Napoli, due bambine si allontanano da casa intorno alle 19.30. Si chiamano Nunzia Munizzi, di 10 anni e Barbara Sellini di 7.

Sono amiche inseparabili. Tanto che quel sabato le due bimbe decidono di fare un picnic insieme a uno sconosciuto. Quello che loro chiamavano - come si ricostruirà dai verbali degli inquirenti - Tarzan tutte lentiggini (un buffo soprannome tratto da un noto cartone animato).

Ma a quell'appuntamento Barbara e Nunzia trovano la morte: i loro corpicini seviziati, uccisi e carbonizzati saranno ritrovati l'indomani in un torrente in secca che allora si chiamava alveo Pollena. Due mesi dopo che investigatori e forze dell'ordine passarono al setaccio ogni angolo del quartiere, di quel massacro vengono accusati tre ventenni incensurati. Ai primi di settembre il pm Arcibaldo Miller individuò in Ciro Imperante, Giuseppe La Rocca e Luigi Schiavo i responsabili di quell'efferato delitto. Tre giovani manovali che erano amici, venivano dal vicino Comune di San Giorgio a Cremano e dal quartiere di Barra e s'intrattenevano talvolta negli spazi all'aperto del Rione Incis, frequentati anche da minori come le due amichette scomparse.

Eppure, dopo un lungo processo che ha portato alla condanna all'ergastolo dei tre in base alla versione - più volte ritrattata - del super testimone Carmine Mastrillo, e dopo tre gradi di giudizio che hanno confermato la sentenza dei giudici, Ciro, Giuseppe e Luigi - oggi sessantenni padri di famiglia - continuano a gridare al mondo la loro innocenza. Quella di cui sono convinti anche in quel Rione Incis dove tutto iniziò quarant'anni fa. Un rione dove nei primi anni 80 era in atto la faida tra la Nco di Raffaele Cutolo e la Nuova Famiglia. Dove a comandare nel quartiere c'era uno dei più spietati tra i sodali di o prufessore di Ottaviano, quel Mario Incarnato pentito di camorra che fu tra gli accusatori di Enzo Tortora (a cui pure si appellarono i tre presunti innocenti e lo stesso ex giudice Imposimato che sposò la loro causa), oltre che il killer del vicedirettore del carcere di Poggioreale Giuseppe Salvia.

Oggi quel quartiere è cambiato ma solo in parte: nelle palazzine costruite apposta per i dipendenti dello Stato, ci abita ancora tanta gente che ricorda non solo Nunzia e Barbara, ma anche Silvana Sasso, la terza bambina che scampò alla morte solo perché la nonna non volle farla uscire. E ci sono le tante persone che parteciparono alle ricerche.

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E i tanti testimoni che avrebbero potuto far luce sulla (presunta) innocenza di Ciro, Giuseppe e Luigi se fossero stati ascoltati dai magistrati, quando Ferdinando Imposimato insieme a Eraldo e Francesco Stefani il 20 giugno 2012 presentarono una revisione di circa 1.400 pagine alla Corte di Appello di Roma cui, successivamente, sono seguite: il 30 maggio 2013 una sentenza di inammissibilità della stessa da parte dei giudici capitolini e il 5 novembre 2014 il verdetto di rigetto dalla Cassazione. Oggi quella tragedia che ha investito cinque persone torna prepotentemente a invocare giustizia. Quella che reclamano due bimbe a cui è stata negata l'infanzia e tre ragazzi che vivono a Spoleto, hanno scontato 27 anni di carcere. 

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