Materazzo, la battaglia dei testi:
​Luca e la vedova calano gli assi

Materazzo, la battaglia dei testi: Luca e la vedova calano gli assi
di Leandro Del Gaudio
Martedì 3 Aprile 2018, 11:21
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Ci sono alcuni amici di vecchia data, giovani professionisti con cui è cresciuto e si è formato; il fruttivendolo dove la sua famiglia andava a fare la spesa e un paio di carabinieri che fecero un sopralluogo in casa, pochi mesi prima che si consumasse la tragedia. Sono in tutto 36 i nomi della lista testi di Luca Materazzo, depositata venerdì pomeriggio dai suoi difensori - i penalisti Gaetano e Maria Luigia Inserra -, in vista della prima udienza del processo per l'omicidio dell'ingegnere Vittorio Materazzo.

Una mossa che conferma la determinazione dell'imputato nel replicare alle accuse della Procura, nel tentativo di scrollarsi di dosso l'etichetta di «mostro di Chiaia» che gli è finita addosso dopo un anno di latitanza in Spagna. Prima Corte di Assise, presidente Provitera, la battaglia è formalmente iniziata. Dopo la Procura, anche le altre parti del processo hanno calato i propri assi, indicando i nomi dei testimoni che intendono portare in aula dinanzi a giudici togati e popolari, al cospetto di avvocati, parenti e amici di vittima e imputato.

Venerdì pomeriggio anche Elena Grande, vedova dell'ingegnere ucciso, ha depositato la propria lista di testimoni. Difesa dai penalisti Arturo ed Enrico Frojo, la donna ha indicato quattro nomi come cardine della propria strategia: c'è il commercialista Stefano Romano (che è anche teste del pm), amico di lungo corso di Vittorio Materazzo, al quale l'ingegnere aveva confidato il proprio timore di essere ammazzato, oltre ai propri dubbi sull'atteggiamento del fratello più giovane; poi Egidio Paolucci, avvocato ed amico di Vittorio, che sarà sentito sia sulla vicenda ereditaria nata dopo la morte di Lucio Materazzo, scomparso anni fa di morte naturale, sia i timori che Vittorio nutriva in relazione all'indagine personale condotta negli ultimi mesi di vita per chiarire le circostanze legate al decesso dell'anziano genitore; poi il nome dell'architetto Antonio Boccia, che ha collaborato per anni con la ditta di Lucio Materazzo e con lo stesso Vittorio, chiamato a riferire proprio sulle attività imprenditoriali del professionista ammazzato sotto casa. E non è tutto. Sempre a scorrere la lista testi della vedova Materazzo, c'è anche il generale Garofano ex comandante del Ris, indicato come consulente di parte nel corso del processo.

Diverse invece le scelte e le motivazioni di tre delle quattro sorelle di Luca e Vittorio, che si sono costituite parte civile nel processo che sta per prendere le mosse dinanzi alla prima assise. Rappresentate dal penalista napoletano Gennaro Pecoraro, non hanno depositato alcuna lista testi, ribadendo in questo modo che dietro la propria costituzione in aula c'è una sola esigenza: quella di essere formalmente presenti in un momento cruciale per l'accertamento della verità.

 
Ma torniamo a Luca Materazzo e alla sua lista di testimoni. La difesa chiede di ascoltare in aula un paio di amici di lunga data del 36enne accusato di omicidio, si tratta di giovani professionisti chiamati a testimoniare sulla lucidità di Luca, sul carattere lineare della sua personalità, indicato come remissivo e tutt'altro che incline a raptus di violenza; in aula, come testi di Luca, anche due carabinieri che intervennero a febbraio del 2016 su segnalazione di Vittorio, che dovrebbero attestare - almeno nell'ottica di parte - la mancanza di astio in seno all'uomo accusato oggi di fratricidio; poi sarà ascoltato un fruttivendolo, con il quale la vittima aveva maturato un debito per una serie di commesse non pagate.
Martedì 10 aprile, dunque, il via alla prima udienza, nel corso di un processo che ruota attorno a quella manciata di minuti di orrore puro consumato sotto casa dell'ingegnere ucciso. Aveva 51 anni, Vittorio Materazzo quando venne aggredito e ammazzato con oltre quaranta coltellate. Era il 28 novembre del 2016, in via Maria Cristina di Savoia.
Un delitto sul quale la Procura non ha dubbi, al termine delle indagini condotte dai pm Francesca De Renzis e Luisanna Figliolia, sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Nunzio Fragliasso. Indagini legate in particolare alla prova biologica, la prova del Dna, che emerge dalle tracce rinvenute sugli abiti e sulle armi trovati dalla polizia in vico Santa Maria della Neve, a pochi metri dal luogo del delitto; e alcune testimonianze che sembrano inchiodare Luca Materazzo.
Tra queste, quella del titolare di un bar di via Crispi, che ha riconosciuto in Luca il giovane uomo che - nei minuti successivi il delitto chiese di usare la toilette dell'esercizio commerciale. Una testimonianza decisiva, quella del barista: «Mi chiese di usare il bagno, vi rimase per una ventina di minuti, mi insospettii per la prolungata permanenza, decisi di intervenire, bussai e aprii la porta: vidi quel giovane uomo mezzo vestito che si stava lavando, notai anche delle tracce di sangue».
Ascoltato dagli uomini della Omicidi, sotto la guida del dirigente Mario Grassia, l'uomo non ha avuto dubbi e ha puntato l'indice contro Luca: «È lui quello che venne a lavarsi il sangue nel mio bar». Ora è atteso in aula, come perno dell'accusa, dovrà ripetere la propria testimonianza fissando negli occhi l'imputato. Omicidio volontario e premeditato, per i pm. Movente economico, secondo il gip Bruno D'Urso che a dicembre del 2016, pochi giorni dopo il delitto, firmò l'ordine di cattura a carico del più piccolo della famiglia di viale Maria Cristina di Savoia: dissidi familiari per la spartizione dell'eredità di Lucio Materazzo, un contenzioso ancora aperto dinanzi a un giudice civile. Ora, a sette giorni dalla prima udienza, un intero spaccato di relazioni domestiche e familiari si prepara a finire al centro di un processo in Corte di Assise.
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