Addio a Giulio Avati, cronista di razza
la calma serafica nel domare il pericolo

Addio a Giulio Avati, cronista di razza la calma serafica nel domare il pericolo
di Pietro Gargano
Mercoledì 31 Ottobre 2018, 21:32 - Ultimo agg. 1 Novembre, 11:08
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Giulio Avati se ne è andato nel sonno, su una poltrona in casa del fratello Roberto a Bagnoli. È stato un cronista di razza. Pur essendo figlio d’arte - suo padre, colonna del Corriere di Napoli, era corrispondente storico del Messaggero - aveva cominciato dalla gavetta, respirando la polvere dei campi di calcio di periferia.
Era l’esatto contrario di ciò che sembrava. Sonnolento all’apparenza, stava ben sveglio sulle notizie, veloce nello scrivere quanto lento nel parlare. Pareva un tipo tranquillo, eppure amava il pericolo, la velocità, le corse dei cavalli da spettatore e protagonista, il poker all’americana. Sul web c’è una sua foto scattata in un torneo del campionato italiano, quando era in testa. Tra le sue doti, una notevole memoria: ricordava tutte le carte uscite e tutti i precedenti di un caso di nera.
Si occupò da inviato dei delitti della Uno bianca a Bologna. Scrisse sulla tragedia dei dodici angeli morti nella galleria del Melarancio e del processo Zarrelli per i tre ammazzati di via Caravaggio.
Gli volevamo bene, ci narravamo esempi della sua leggendaria distrazione. Una volta si fermò in un autogrill per un bisogno e all’uscita sbagliò vettura, sedendo al volante di un’auto accanto a una signora che all’avvio del motore cominciò a urlare. Prima che imboccasse l’uscita successiva, i carabinieri indagavano su un misterioso rapimento.
Qualche anno fa diventò uno di famiglia. Era appena finito, male, il secondo dei suoi tre matrimoni e cercò riparo da me. Tornava a casa solo per dormire. All’improvviso svanì. È stato pure sindacalista, nel 1993 eletto nel comitato di redazione con Francesco Romanetti ed Enzo Ciaccio. Al momento della pensione lavorava nella redazione degli Interni. Ci mancheranno la sua bravura, il suo disincanto, le sue contraddizioni. Statte bbuono, Giugiù, un abbraccio forte forte.
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