«Ma se l'Italia non rinasce da qui, se la giustizia non riparte da qui, non ce la farà da nessuna parte». Lo ha detto, da Napoli, il ministro della Giustizia Marta Cartabia, che oggi ha incontrato nel Nuovo Palazzo di Giustizia i capi degli uffici giudiziaria della Corte di Appello partenopea. Un confronto franco, a tratti anche aspro per descrivere le drammaticità che si vivono ogni giorno nel tribunale di Napoli.
La visita in città del ministro della Giustizia, Marta Cartabia, è servita almeno per raccontare al responsabile del dicastero di via Arenula tutte le criticità che vivono ogni giorno i magistrati partenopei. L’occasione è stato un dibattito presso la cittadella giudiziaria del Centro direzionale, dove il ministro è giunto per illustrare le sue idee di riforma in tema di giustizia; mentre il presidente della Corte d’Appello Giuseppe De Carolis di Prossedi e il procuratore generale Luigi Riello hanno raccontato all’ex presidente della Corte Costituzionale le difficoltà che si incontrano ogni giorno nel distretto di Napoli, a causa della mancanza cronica di organico e della peculiare attività criminale sul territorio.
Dati allarmanti quelli illustrati dal presidente De Carolis, che il ministro conosceva e non da meno si è detta preoccupata quanto i magistrati partenopei. «Quando ho visto i dati di Napoli - ha detto Cartabia - mi sono chiesta cosa deve fare il ministero ma anche cosa negli anni, non ora, è successo anche nelle comunicazioni tra Roma e Napoli, perché si arrivasse a una situazione così. Dobbiamo metterci in moto e sono qui a Napoli.
Il procuratore generale della Corte di Appello ha quindi chiesto che non si inviino ai cittadini «messaggi di impunità», soprattutto ai minori perché «pur se con granum salis, anche loro vanno puniti perché i clan ormai usano bambini per vendere droga e li assoldano anche come killer». Il ministro Cartabia ha replicato alle osservazioni ricevute che la situazione napoletana «non è grave perché c’è una riforma in arrivo, ma perché è già grave di suo come hanno illustrato i presenti a questo convegno. Non fare nulla sarebbe la risposta peggiore visto che già ora la metà dei processi cade in prescrizione. Non agire sarebbe peggio». Cartabia ha pure annunciato il suo piano di istituzione del nuovo Ufficio del Processo che prevede, grazie ai fondi europei, l’assunzione di 16.500 neolaureati che andranno ad affiancare giudici e personale amministrativo nei distretti. «Serviranno sopratutto per abbattere i tempi morti - ha detto il ministro - questa è un’occasione da non sprecare perché mai è stato fatto un piano di assunzioni come questo».
Di certo, «lo status quo non è un'opzione sul tavolo. Dopo quanto ho sentito su numeri delle pendenze, i tempi delle definizioni dei giudizi, i tempi delle trasmissioni degli atti, mi domando: possiamo noi stare inerti e fermi di fronte a una Giustizia che non è un Frecciarossa che in un'ora e dieci ci porta da Napoli a Roma, che non deve fermarsi mai nelle campagne di Frosinone, ma possiamo restare sul calesse perché Frecciarossa non si inceppi?». E i partiti? «Le forze politiche spingono in direzioni diametralmente opposte, ma questa riforma deve essere fatta perché lo status quo non può rimanere tale».
La Giustizia deve funzionare non solo per dare «una risposta all'Europa, che pure è necessaria perché altrimenti perderemo i miliardi che l'Europa sta dando al Paese per la rinascita», ma deve funzionare «perché solo così c'è un presidio contro la legge del più forte, contro le infiltrazioni della criminalità organizzata che depauperano il tessuto sociale. Non possiamo stare fermi, facciamo qualcosa tutti insieme per affrontare il problema». «Altra idea a cui stiamo lavorando, - ha detto il ministro - qualcuno me lo ha presentato anche come un desiderio di alcuni magistrati che sono in età pensionabile, di mettersi a disposizione».