«Minori, scuola e famiglia per fermare la violenza»

Il giudice Brunese: no a pene maggiori

Il giudice Brunese
Il giudice Brunese
di Melina Chiapparino
Sabato 18 Marzo 2023, 09:24
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«Non c'è bisogno di pene maggiori ma bisogna agire sulla sostanza» per arginare l'emergenza della violenza tra minori. Nelle parole di Paola Brunese, c'è il peso e la consapevolezza di trent'anni di esperienza con la toga di giudice per il Tribunale dei Minorenni di Napoli, guidata dalla convinzione che «al pari della punizione, utile e funzionale, ci debba essere la presa in carico delle famiglie». Come sia possibile attuarla, lo racconta a Il Mattino.

Dunque, pene maggiori e metal detector nelle scuole, non servono?
«Non è necessario aumentare le pene e i metal detector nelle scuole sono una follia, contribuirebbero solo a creare un clima di tensione oltre al fatto che non servirebbero quasi a nulla.

La percentuale di ragazzi che portano armi o coltelli a scuola, è minima, dal momento che questa pratica avviene quando escono. Si tratta di un evento raro che non può e non deve far credere che sia necessario militarizzare le scuole. Anzi farlo, in alcuni casi, potrebbe persino rappresentare una sfida per i ragazzi o innescare in loro il pensiero di portare le armi che fino a quel momento, non consideravano».

Abbassare l'età imputabile, potrebbe funzionare?
«Non è pensabile abbassare al di sotto dei 14 anni l'età imputabile perché parliamo di individui immaturi che seppure, oggi, possano avere una parvenza di maturità, invece sono ancora più fragili ed esposti. Trovo anche mortificante nei confronti dei giudici, considerare una ipotesi del genere perché significherebbe misurarsi con soggetti non pienamente coscienti delle loro azioni che, semmai, vanno indirizzati verso un percorso di consapevolezza e aiutati nella maturazione della gravità e del peso dei loro comportamenti».

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Cosa si può fare, allora?
«Prima di tutto, sarebbe opportuno introdurre come materia scolastica obbligatoria, l'educazione alla legalità perché, un denominatore comune tra i minori, è la totale mancanza di conoscenza e consapevolezza delle conseguenze delle azioni che compiono e per le quali arrivano davanti a un giudice. Non è raro che un minore, denunciato per porto d'armi, sia convinto di avere un coltello per difendersi senza immaginare assolutamente le conseguenze di quella detenzione. Mi ritrovo spesso a parlare alle platee scolastiche e noto sempre molto interesse e non solo curiosità, verso queste tematiche».

Può bastare l'educazione alla legalità?
«Assolutamente no. Quando dico di agire sulla sostanza, mi riferisco a un'indagine socio-ambientale che deve accompagnare la presa in carico di un minore, a cominciare dal suo nucleo familiare e dalla responsabilità genitoriale. Ci sono un ventaglio di provvedimenti amministrativi e, dunque non penali, che agiscono sul minore e sul suo ambiente come il trasferimento, anche temporaneo, in comunità. L'importante è che ci sia una rete tra assistenti sociali e istituzioni affinché non si agisca solo sul singolo minore ma sul suo contesto familiare e sociale».

Lei considera la violenza tra minori un'emergenza?
«Si, la violenza sta coinvolgendo fasce di minori sempre più piccoli e, soprattutto, motivazioni sempre più futili e banali. L'aspetto più inquietante delle aggressioni riguarda proprio la banalità delle motivazioni che, nella maggior parte dei casi, si riducono a uno sguardo di troppo. C'è una preoccupante volontà di sopraffazione. I ragazzini agiscono d'impulso e senza pensare alle conseguenze delle loro azioni. Non è un caso che mai come in questo periodo, mi sono dovuta confrontare con un numero altissimo di omicidi e tentati omicidi per mano di minori».

Di chi è la colpa?
«La prospettiva è un'altra. Dobbiamo tener conto dell'incidenza dei social e della televisione e, più in generale, di un sistema che inghiotte i ragazzini, portandoli a compiacersi di azioni violente, spesso immortalate con i cellulari. Non è raro che le immagini video di armi del delitto o ferimenti, siano tra le prove principali all'attenzione dei giudici. Prove che i ragazzini imputati hanno inconsapevolmente fornito, vantandosi sui social. Spesso, non ci sono famiglie in grado di essere un riferimento sano per la crescita dei minori. Per questo è necessario punirli, per educarli, ma altrettanto necessario ascoltarli per prevenire».

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