Moby Prince, Ercolano non si arrende: «Giustizia per le 140 vittime del disastro»

Moby Prince, Ercolano non si arrende: «Giustizia per le 140 vittime del disastro»
di Carla Cataldo
Martedì 2 Marzo 2021, 09:00
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Centoquaranta morti che gridano vendetta. Un processo denso di nubi, tre inchieste aperte e la certezza che la verità, dopo trent'anni, è ancora un pallido miraggio. La verità che dal 10 aprile del 1991 chiedono a gran voce i familiari delle vittime del Moby Prince. I parenti di passeggeri, macchinisti, ufficiali il cui nome è impresso su una delle pagine più nere della storia italiana. La più grave tragedia della Marina mercantile dal dopoguerra ad oggi è ancora un mistero che si staglia al largo del porto di Livorno, dove quella notte il traghetto diretto ad Olbia entrò in rotta di collisione con la petroliera Agip Abruzzo. A bordo c'erano anche sette persone di Ercolano, sei vittime e l'unico sopravvissuto della tragedia, il marinaio Alessio Bertrand che da quel giorno non sarà più lo stesso. Da Ercolano oggi arriva l'ennesimo disperato appello perché si faccia luce sulla vicenda. Il sindaco Ciro Buonajuto nel corso di un consiglio comunale monotematico proporrà una mozione concordata con l'Associazione dei familiari delle vittime per chiedere la riapertura delle indagini e l'avvio di una nuova commissione parlamentare di inchiesta sulla vicenda. 

Quella notte del 10 aprile 1991 la collisione tra la nave e la petroliera porta a un terrificante incendio. Buona parte dell'equipaggio morirà per asfissia o in seguito alle ustioni riportate. Eloquente è l'immagine di un corpo bruciato apparso sul ponte della nave il giorno dopo la collisione. Un'immagine che rappresenterebbe l'emblema dei ritardi nei soccorsi. Le prime indagini hanno teorizzato errori di manovra da parte del Moby. Ipotesi però scartate dalle successive attività investigative. Dal processo penale che ne derivò emersero molte lacune sul lavoro condotto all'epoca dalla Capitaneria di Porto. Solo nel 2018 la Commissione parlamentare d'inchiesta, al termine di una lunga indagine con tanto di audizione dell'unico superstite rende note le sue conclusioni aprendo uno squarcio di speranza per i familiari delle vittime. Da quell'inchiesta emerge che quella notte non c'era nebbia al porto di Livorno (come affermato nelle ore successive alla collisione) e che la tragedia non sarebbe stata causata dalla negligenza di chi conduceva il traghetto. Ancora, che la morte dei passeggeri non è avvenuta nei 30 minuti successivi ma ci starebbero stati ritardi nei soccorsi. L'Agip Abruzzo, al contrario di quanto riportato in fase di indagine processuale, si trovava in zona di divieto di ancoraggio. Su tutto, i pesanti sospetti su un presunto depistaggio. Rivelazioni dalle quali è nata una nuova inchiesta, condotta dalla Procura di Livorno per il reato di strage. E una seconda a Roma per il reato di falsa testimonianza e reticenza. Nel fascicolo sarebbero confluiti persino i verbali di un pentito della ndrangheta, Filippo Barreca, in merito ad un presunto traffico di prodotti illeciti nel porto quella notte. 

 

Sulla scorta delle nuove ipotesi portate avanti dalla Commissione parlamentare d'inchiesta i familiari delle vittime, qualche mese fa, hanno presentato una richiesta di risarcimento nei confronti dello Stato. Richiesta respinta dal tribunale di Firenze che ha dichiarato prescritto il procedimento in quanto arrivato fuori tempo massimo rispetto all'ultima sentenza di condanna per la vicenda del Moby che risale al 1999 (tutte assolte o archiviate le posizioni di armatori, ufficiali e rappresentanti della Capitaneria). Da qui la decisione di chiedere aiuto al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. E poi di invocare l'avvio di una nuova Commissione bicamerale d'inchiesta per fare piena luce sulla vicenda. Richiesta di cui si fa portavoce, come ente capofila, il Comune di Ercolano attraverso le parole del sindaco Ciro Buonajuto, che grazie al presidente del consiglio comunale, Luigi Simeone, domani porterà l'atto in aula.

Perché quella tragedia è una ferita ancora aperta. «Lo ricordo bene il 10 aprile del 1991 - afferma Buonajuto - ricordo le lacrime di una intera città. Una tragedia che ha segnato la storia recente della nostra comunità. Con la mozione che discuteremo in Consiglio Comunale vogliamo ancora una volta affermare con determinazione la nostra vicinanza ai familiari delle vittime del Moby Prince. Una immane tragedia che cerca ancora verità e giustizia». Giustizia e verità. Due parole che da 30 anni pronuncia senza soste Luchino Chessa, figlio di Ugo comandante del Moby morto quella notte. È il presidente dell'associazione 10 aprile che chiede a chi sa di parlare. Rivolgendosi in particolare a Bertrand. «La speranza è che il tribunale di Firenze riveda quella sentenza di primo grado emessa qualche mese fa sul risarcimento - afferma Chessa - Ma anche che i custodi delle verità mai emerse dicano finalmente quello che sanno. Per fare giustizia. Per far emergere la verità sulla storia di 140 innocenti che potevano essere salvati ma che qualcuno ha lasciato morire».

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