Cirillo, l'uomo dei segreti tra Brigate Rosse, Stato e camorra: «Fu zittito dalla Dc»

Cirillo, l'uomo dei segreti tra Brigate Rosse, Stato e camorra: «Fu zittito dalla Dc»
di Antonio Manzo
Lunedì 31 Luglio 2017, 09:05 - Ultimo agg. 16:33
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Parla Carlo Alemi. «Ciro Cirillo è stato un uomo che sicuramente ha affrontato dignitosamente, sia pure con le contraddizioni che gli furono imposte dalla Dc, una vicenda drammatica che ha avuto valenza ben al di là del confine campano. La Dc trattò per la liberazione di Ciro Cirillo, non trattò per liberare Aldo Moro che era un uomo politico scomodo. La morte di Cirillo non chiude il capitolo delle verità inesplorate sullo scandalo degli appalti post-sisma che furono assegnati alla camorra come contropartita della trattativa per liberare Cirillo».

Carlo Alemi, ex magistrato, fu lui a firmare la storica sentenza ordinanza di 1.535 pagine nella quale svelò la trattativa tra Democrazia Cristiana, Brigate Rosse e la camorra per la liberazione di Cirillo in cambio di appalti alla camorra.

Alemi, come ricorda l'imputato Ciro Cirillo?
«Offrì poco contributo alle indagini. La Dc gli impose una linea negazionista sulla trattativa che non sarebbe stata poi quella emersa dai processi».

Quante volte lo interrogò?
«Due volte. Ma mi resi conto subito della sua chiusura netta rispetto alle indagini».

E l'uomo Cirillo?
«Era sicuramente un uomo intelligente ma contraddittorio. Reincontrai Cirillo dopo ventisette anni dal rapimento in occasione della presentazione di un reportage del programma «La storia siamo noi». Cirillo fece su di me, all'epoca presidente del tribunale di Napoli, un'affermazione elogiativa. Disse che l'Italia avrebbe avuto la necessità di avere giudici coraggiosi come me. Passò poco tempo perché sempre lui, nel corso di una intervista a una tv svizzera, cambiasse opinione. Disse che nel processo sul suo rapimento mi ero inventato tutto per danneggiare la Dc».

Come interpretò questo cambiamento di valutazione?
«Non esclusi che fosse stato raggiunto da una indicazione politica di dover continuare a mantenere un atteggiamento di chiusura sulla trattativa che c'era stata per la sua liberazione».

Anche dopo decenni?
«Anche dopo decenni».

Cirillo ha sempre dichiarato di aver scritto memoriali. Lei ritiene possibile che ci siano verità documentali dopo la sua morte?
«Lui ha sempre sostenuto di avere documenti che sarebbero stati pubblicati dopo la sua morte, confermando indirettamente verità ancora inesplorate. Io non credo a questi documenti. Che poi vi siano... La verità è uscita in sentenze passate in giudicato. Restano inesplorati i punti oscuri relativi al post-trattativa, come gli appalti della ricostruzione che fu materia di scambio tra la Dc, le Br e Cutolo. Su questo non ci sono stati contributi seri».

È mancato il contributo serio di Cirillo o anche quello di pezzi dello Stato che hanno continuato coprire Cirillo?
«Più che a coprire Cirillo, l'obiettivo era continuare a coprire la Democrazia Cristiana che gestì le trattative con la camorra e le Brigate Rosse. Evidentemente quella verità non deve venire fuori. Cutolo, sollecitato a raccontare la verità sulla trattativa Cirillo, ha risposto che lui non lo avrebbe mai potuto fare di fronte alla persistenza al potere, ancora oggi, dei protagonisti di quelle trattative».

Nel corso dell'inchiesta quando avvertì in maniera evidente c'era un pezzo dello Stato che lavorava contro la verità?
«Fu quando interrogai Giovanni Senzani, il leader della colonna napoletana delle Br. Lui si dichiarò subito prigioniero politico ma aggiunse con insinuante linguaggio: Indagate, indagate, usciranno altre verità».

Solo questo messaggio bastò a incuriosirla a scavare?
«No perché poi ci fu il documento pubblicato sull'Unità che coinvolgeva alti esponenti della Democrazia Cristiana e di lì l'apertura della pista d'indagine con la sporca trattativa dello Stato con il capo della camorra Raffaele Cutolo».
Ma il documento dell'Unità era un falso.

«Falso sicuramente ma utilissimo per farci imboccare serie piste investigative a partire da marzo 1982. Il documento era falso sulla formazione ma conteneva molte affermazioni vere. L'intervento dei servizi segreti non l'ha certificato solo il processo-farsa di primo grado, ma verificato anche dalle commissioni parlamentari sui servizi segreti e Antimafia. L'allora Sismi, il servizio segreto militare, e l'allora Sisde, il servizio segreto interno trattarono tra camorristi in carcere, camorristi latitanti e politici della Dc».

Alle Brigate Rosse furono versati soldi del riscatto e alla camorra garantiti gli appalti della ricostruzione.
«Si, con i soldi dati alle Br furono commessi altri attentati del 1982 come quelli contro l'allora assessore regionale dc Raffaele Delcogliano e il vice questore Antonio Ammaturo».

Anche questi due attentati conseguenze della trattativa Cirillo?
«Non c'è dubbio. Recentemente, in occasione del premio dedicato al vice questore Ammaturo, ho ribadito che ancora non conosciamo il vero mandante di quell'attentato. Si disse che era stato Raffaele Cutolo a condannare quello sbirro intelligente. Quest'anno, per la prima volta, ho ascoltato dichiarazioni nette di un uomo dello Stato con le parole del capo della polizia Franco Gabrielli. Mi ha detto presidente lei ha pienamente ragione, non è possibile che dopo tanti anni ci si continui a nascondere dietro un attentato terroristico».

Mai collaborativo, neppure vagamente, Cirillo?
«Mi resi subito conto del muro totale che lui aveva eretto intorno alla ricerca della verità. C'erano anche conversazioni registrate con i brigatisti mai consegnate a me. Quando vennero fuori un perito accertò che i nastri erano stati manomessi».

Si è mai spiegata la disparità storico-politica tra la trattativa fallita per liberare Moro e quella andata a buon fine per Cirillo?
«Si spiega principalmente sulla circostanza di quanto Moro fosse scomodo nella Dc per il percorso politico avviato con Berlinguer. Per Cirillo la Dc di decise di trattare».

È ancora aperto il capitolo storico-giudiziario Cirillo?
«Apertissimo. Mai spiegato il capitolo degli appalti garantiti alla camorra. Ci sono le dichiarazioni che rese, da imputato, l'allora presidente dell'Avellino Calcio Antonio Sibilia, quelle del costruttore trentino Volani, del pentito Pasquale Galasso...»

In che misura il caso Cirillo fece espandere il rapporto tra la politica e la camorra?
«Il rapporto arrivava già dagli anni Settanta ma il caso Cirillo lo rese organico.

Quando Cutolo fu arrestato ad Albanella, nel Salernitano furono intercettate telefonate sui consigli elettorali chiesti allo stesso Cutolo. In quella occasione sequestrarono un'agenda. In ogni mistero italiano c'è un'agenda che scompare: la borsa di Moro, l'agenda di Borsellino, l'agenda di Cutolo. Così come scomparvero le relazioni investigative sul caso Cirillo firmate dal vice questore Ammaturo. Quelle spedite al ministero non arrivarono mai, ma non arrivarono mai neppure a destinazione gli stessi rapporti che il vice questore, con tragica premonizione, aveva spedito al fratello Grazio. Carte disperse, nella tragica e sporca storia della Repubblica intestata al caso Cirillo».

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