«Papà è morto sul lavoro 25 anni fa, ora ci arriva la beffa delle spese legali»

«Papà è morto sul lavoro 25 anni fa, ora ci arriva la beffa delle spese legali»
Marilu Mustodi Marilù Musto
Domenica 20 Marzo 2022, 00:12 - Ultimo agg. 19:03
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Dopo venticinque anni, le spese di cancelleria e di giudizio piombano come un macigno sulla famiglia di un uomo morto sul posto di lavoro nel 1997. Il tempo trascorso dall’inizio di una causa civile e il destino di una sentenza di assoluzione, ha permesso al tribunale di fare la storia di una famiglia: assolti i datori di lavoro dell’operaio deceduto e condanna al pagamento dei diritti di cancelleria. Non si tratta di briciole.

Le spese ammontano a 3mila 372 euro. La storia è quella raccontata da Ciro e Salvatore Filippone, due dei cinque figli dell’operaio di cantiere Mario Filippone diventati orfani di padre nel marzo del 1997 e ora anche debitori nei confronti della corte di Appello di Napoli di oltre tremila euro. Per aver ottenuto cosa? Nulla. Il procedimento civile non ha sortito l’effetto sperato e quello penale è rimasto archiviato nel 1998 dalla procura di Napoli, ma ora i cinque fratelli Filippone chiedono di riaprire il caso. Non solo. Implorano pietà perché la loro situazione economica è precaria: «Questa cifra è assurda», dicono riferendosi ai tremila euro. «Non abbiamo la possibilità di onorare il pagamento, almeno chiediamo la rateizzazione.

La morte di mio padre che non ha ottenuto giustizia nemmeno in sede penale perché il processo non è mai partito, ci ha lasciati in un limbo da cui non riusciamo ad uscire. Chiediamo alla giustizia comprensione per la nostra condizione». 

Era il 26 Marzo del 1997 quando Mario, incaricato da una ditta di Napoli per cui lavorava di ritinteggiare una sala del deposito di materiali della società in via Galileo Ferraris, cadde dalla pila di mattonelle dove si trovava (così risulta dal sopralluogo della polizia nel deposito) per ridipingere le pareti della stanza. Non aveva il casco nè abiti per prevenire infortuni, non è stata trovata neanche una scala per salire sul luogo dell’incidente. Mario avrebbe dovuto arrampicarsi sulla pila di materiale posizionato nella stanza per pitturare la parete e il soffitto. Una condizione precaria e inaccettabile. Ma pur di tenersi il lavoro, Mario aveva accettato di lavorare in quelle condizioni: a casa c’erano cinque figli da sfamare. E così, cadde e rimase incosciente a lungo, fino a quando un altro operaio, Andrea Pezzella (si legge negli atti) lo ritrovò a terra «nelle vicinanze di alcune balle di piastrelle nel deposito della ditta di via Ferraris». Mario fu portato via e trasferito all’ospedale del Mare, ma morì dieci giorni dopo, dopo tante sofferenze e una operazione chirurgica che non riuscì a salvargli la vita. 

Il procedimento penale fu liquidato con una frase del pm dell’epoca, Antonella Cirillo: «Non appaiono sussistere elementi di responsabilità a carico di terzi». Due i testimoni. Otto nel procedimento civile. Ma tutti gli operai dissero ai magistrati di non aver visto Mario cadere (si pensò al timore di un licenziamento da parte della società). Eppure, dall’autopsia emerse che la caduta di oltre tre metri gli aveva provocato traumi su tutto il corpo. Nessun avvocato presentò istanza di opposizione all’archiviazione del fascicolo, ma intanto, sul fronte civile, l’avvocato Pasquale Di Maio con il professore Francesco Sbordone diedero il via a un processo civile che si è dilungato per anni. E così, terminata con una assoluzione del datore di lavoro, ora la famiglia Filippone si ritrova con i debiti nei confronti del tribunale di Napoli: «È incredibile, dobbiamo anche pagare per non avere ottenuto giustizia», sbotta Ciro. Lui, il penultimo dei cinque figli, ha dovuto subire anche un altro lutto. Dieci anni fa, lungo la statale Domiziana, sul territorio di Castel Volturno, la sua auto fu coinvolta in un incidente stradale in cui perse la vita la sua bambina appena nata. E spiega: «Di questo passo, devo per forza utilizzare il risarcimento ottenuto per la morte di mia figlia, per pagare per una giustizia mai ottenuta per la morte di mio padre».
 

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