Movida a Napoli, la protesta dei Decumani: «Non è divertimento, sono criminali»

Movida a Napoli, la protesta dei Decumani: «Non è divertimento, sono criminali»
di Gennaro Di Biase
Martedì 31 Agosto 2021, 09:00
2 Minuti di Lettura

Flash mob contro la deriva della movida, ieri alle 19, a San Giovanni Maggiore Pignatelli. Un gruppo di residenti è sceso in piazza con striscioni e cartelli per protestare contro la degenerazione del by night. Non ne può più, la società civile di zona: le notti di alcol e droga, le arrampicate a palazzi e lampioni con annessi incidenti e rischi di morte, come quello dell'ultimo sabato, quando un giovane è caduto da circa 5 metri nel tentativo di raggiungere il balcone principale dell'Università L'Orientale. Poi le risse, le casse da rave, l'urina negli androni dei condomini nel cuore di Napoli. Gli appelli alle istituzioni non hanno finora messo un freno alla violenza delle notti tra Banchi Nuovi e Mezzocannone.

L'anima civile della piazza si muove anche su un altro fronte: venerdì don Salvatore, il parroco della basilica, un gruppo di residenti ed esercenti contrari alla mala movida consegneranno in Comune, in Regione e in Prefettura le 450 firme raccolte contro il degrado dilagante. La puzza di vomito e orina arriva a tutte le ore, tra cumuli d'immondizia accatastata nei pressi della basilica. Alla protesta aderisce anche qualche giovane. «Questa non è movida, è criminalità - spiega Gennaro Esposito, presidente del Comitato Vivibilità cittadina - La chiusura delle discoteche, le risse e l'alcol a basso costo hanno reso la zona invivibile. Tanti stanno provando a vendere casa da queste parti. Senza un presidio fisso delle forze dell'ordine, l'esodo sarà inevitabile». Un luogo di cultura diventato teatro di droga, movida suicida e inciviltà. Questi vicoli, fino al pre-Covid, erano in fase di piena ascesa sociale e commerciale. Dove ora proliferano locali da cicchetti a 50 centesimi, prima nascevano bar a misura di turista. «La situazione è insostenibile anche per chi, come noi, propone un modello di commercio sano», spiega Fabrizio Caliendo, titolare del Kestè. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA