Arturo, crolla l’alibi del 13enne
«Non era alla partita di calcio»

Arturo, crolla l’alibi del 13enne «Non era alla partita di calcio»
di Leandro Del Gaudio
Sabato 29 Dicembre 2018, 22:55 - Ultimo agg. 30 Dicembre, 08:11
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Hanno trovato la foto di quel giorno, quella che lo immortala con la stessa mise finita in un video: giubbotto rosso e pantaloni con una fascia bianca, vale a dire lo stesso look che viene immagazzinato da una telecamera lungo via Foria. Un tassello decisivo, assieme ad alcune testimonianze raccolte in questi mesi dagli inquirenti, che sembrano andare in una direzione opposta rispetto a quella del difensore: nessuno ricorda la storia della semifinale del torneo della parrocchia, nessuno conferma la versione resa dal quarto indagato, quello più giovane e indicato tra i più violenti della banda. Sono questi i particolari che emergono dall’ultima fase dell’inchiesta sul ferimento di Arturo, il ragazzino aggredito dal branco in via Foria, il 17 dicembre del 2017, alla luce di un supplemento investigativo messo in moto dalle indagini difensive del più giovane dei quattro indagati. 
 
Ricordate il caso? Per l’aggressione e il ferimento dello studente napoletano, sono stati arrestati tre ragazzini di età compresa tra i quattordici e i diciassette anni; mentre era stato indagato e segnalato ai servizi sociali anche un ragazzino non ancora quattordicenne, quindi non imputabile. Ed è stata proprio la posizione di quest’ultimo indagato (difeso dalla penalista napoletana Carla Maruzzelli) a mettere in moto nuovi approfondimenti. 

In sintesi, il quarto indagato sosteneva di avere un alibi, alla luce di quanto emergeva dalle chat del ragazzino in quel 17 dicembre di un anno fa. Conversazioni in tempo reale, tramite i social, da cui emergeva il suo impegno a organizzare una partita di calcio, vale a dire la semifinale di un torneo in parrocchia. Un alibi sul quale sono state svolte verifiche di polizia giudiziaria, sotto il coordinamento del pm dei minori Ettore La Ragione. Quali sono i punti controversi? Nessuno ha confermato l’esistenza della semifinale di un torneo locale. Amici e compagni di squadra non ricordano la circostanza del torneo (che viene però indicata dalle indagini difensive, alla luce delle chat del ragazzino), limitandosi a parlare di una seduta di allenamento decisamente più libera. Nessuno è in grado di confermare la presenza del 13enne in quella fascia oraria in cui si è consumato il ferimento di Arturo. Nessuna conferma, secondo quanto trapelato finora dalle indagini dei pm dei Colli Aminei. Poi c’è la storia dell’outfit con cui viene immortalato il più piccoletto dei quattro: giubbino rosso, una fascia chiara sulla gamba dei pantaloni (probabilmente una tuta), abiti mai rinvenuti nel corso delle indagini. Chi li indossava? Un punto sul quale sembra che sia stato fatto un passo in avanti. A furia di scavare in foto e profili social, in archivi e memorie telematiche, è sbucata quella mise immortalata dalla videocamera messa a presidiare via Foria. Un tassello decisivo, nell’ottica degli inquirenti, ora più che mai convinti dell’opportunità di chiudere il caso di via Foria. Niente indagine monca, niente errori di persona, non c’è un quarto soggetto rimasto nell’ombra a cui dare la caccia nei prossimi mesi. È questa la convinzione che emerge dall’ultimo step di un’inchiesta che è approdata alle condanne in primo grado, almeno per i tre soggetti imputabili. 

Nove anni e tre mesi per tre dei quattro componenti del branco, al termine di un processo che si è svolto con il rito abbreviato (che prevede lo sconto di un terzo della pena), in una istruttoria segnata dalle mezze verità offerte al giudice dagli stessi imputati. Due dei tre minori hanno infatti ammesso di aver fatto parte della banda che ha aggredito e ferito a colpi di pugnalate un ragazzino inerme. Hanno confermato in modo generico la storia della tentata rapina, negando - ciascuno per il suo - di aver impugnato un coltello. Mezze ammissioni che non hanno convinto il giudice, che ha usato lo stesso metro per i tre imputati, infliggendo una condanna esemplare. Una vicenda che sembra destinata agli archivi (salvo ribaltamenti in appello), anche e soprattutto alla luce di questo sequel investigativo, che sembra smontare - pezzo su pezzo - la storia dell’alibi del più giovane dei quattro. 
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