Far West nell'ospedale dei Pellegrini a Napoli, il racconto choc del dottore: «Come in guerra, il killer sparava anche contro i medici»

Far West nell'ospedale dei Pellegrini a Napoli, il racconto choc del dottore: «Come in guerra, il killer sparava anche contro i medici»
di Ettore Mautone
Sabato 18 Maggio 2019, 11:00 - Ultimo agg. 20:25
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«Una terribile notte da far west»: così Giuseppe Fedele - specialista in Chirurgia di urgenza, 63 anni, di cui 30 trascorsi al pronto soccorso del Vecchio Pellegrini. È ancora sotto choc per l'esperienza vissuta poche ore prima: «In trent'anni di carriera in quest'ospedale di frontiera ne ho viste tante ma mai mi era capitato di assistere a una scarica di proiettili sparati all'impazzata sulla folla ad altezza d'uomo. Poteva essere una strage».
 


Cosa è successo esattamente?
«Ero di turno dalle 20 alle 8 del mattino. Verso le 2 ho sentito un gradissimo fragore. È arrivata una macchina strombazzante con decine di persone urlanti al seguito. In questi casi ho imparato dall'esperienza che si tratta di persone ferite in agguati e mi sono preparato ad accogliere il ferito. Ci ha messo un po' ad uscire dalla macchina per le ferite agli arti e per la stazza e il peso».

Quindi?
«Il ferito finalmente stava entrando nell'ascensore con i barellerei ed io ero al piano superiore ad attenderlo. A questo punto ho sentito altro clamore e avvertito nettamente la esplosione di diversi colpi di pistola almeno cinque o sei in successione. C'è stato un fuggi fuggi generale sia del personale del pronto soccorso sia delle persone che erano sulle scale. Ero coperto dal vano ascensore ma in pratica il bersaglio del raid poteva essere sia la persona ferita, entrata già in ascensore, sia qualcuna delle persone al seguito».

Le guardie giurate?
«Hanno fatto quello che potevano. La conformazione dell'ingresso non consente di controllare tutti».
 
Il ferito cosa le ha detto?
«Si preoccupava del suo stato di salute. Era stato colpito al femore destro, dove il proiettile è rimasto all'interno, e alla gamba sinistra riportando fratture in entrambi i casi. Il proiettile a destra ha sfiorato l'arteria femorale. Se l'avesse colpita sarebbe rimasto a terra senza scampo. Era su uno scooter e qualcuno che non conosceva gli ha sparato. Intanto in pronto soccorso sono saliti altri due giovani di 16 anni, un ragazzo e una ragazza, feriti di striscio. Ho chiesto dei genitori, si sono dileguati».

Poi cosa ha fatto?
«Ho dovuto fronteggiare una situazione di puro caos. I miei colleghi e alcuni infermieri sono scappati. Qualcuno ha avuto una crisi di pianto. Non si può lavorare in queste condizioni. Se fossimo in una zona di guerra ci sarebbe più calma».

Lei è rimasto al suo posto?
«Certo. Questo è un lavoro che faccio con passione. Mi tremavano le gambe ma mi sono concentrato sulla necessità di curare una persona ferita. Non potrei andare avanti se non avessi una sincera passione per il soccorso in urgenza. Ma non tutti i miei colleghi ce la fanno. Molti sono annientati dallo stress. Alcuni collaboratori stanotte hanno avuto una crisi. Ma non si può lasciare il posto di lavoro. Siamo inermi».

Esiste un rimedio secondo lei?
«Bisogna innanzitutto controllare il territorio e garantire l'ordine pubblico. Poi compiere un lavoro lungo e profondo anche nella società, entrare in queste famiglie, riannodare i fili di un tessuto sociale completamente sfilacciato. Qui stanotte alle 3 c'erano almeno 40 giovani quasi tutti minori. Dove sono i genitori di questi ragazzi?».

Negli anni cosa è cambiato?
«Di sparatorie ne ho viste anche in passato ma mai con queste modalità».

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