Il racconto di Suor Antonietta: «Io, nell'inferno di Napoli dove i medici sono eroi»

Il racconto di Suor Antonietta: «Io, nell'inferno di Napoli dove i medici sono eroi»
di Maria Chiara Aulisio
Domenica 19 Maggio 2019, 14:00 - Ultimo agg. 23:07
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Suor Antonietta Scotti da nove anni, con due consorelle - suor Renata e suor Maria - vive in una casa messa a disposizione dall'Arciconfraternita dei Pellegrini all'interno dell'ospedale della Pignasecca. Appartengono all'ordine delle Suore figlie della Carità di san Vincenzo de' Paoli, le tre suore, prestano il loro servizio accanto agli ammalati offrendo sostegno, preghiere e conforto ogni volta che ce n'è bisogno. Suor Antonietta, 76 anni, di Pozzuoli, è la madre superiora, sempre in movimento, volitiva e determinata, si divide tra il lavoro in corsia e quello a Sessa Aurunca dove è responsabile dell'associazione San Vincenzo de' Paoli Onlus, un gruppo di giovani volontari che si dedica con amore alla cura di ragazzi diversamente abili. Lo ha saputo appena sveglia quello che era accaduto durante la notte al pronto soccorso: il ferito, i colpi di pistola, la paura, a due passi da lei.
 


Suor Antonietta, si spara anche in ospedale.
«Ormai non c'è più limite. Si ammazzano ovunque, non pensavo che saremmo arrivati a tanto: violenza e criminalità non hanno più confini. Porto ancora nel cuore il dolce sorriso di Pietruccio, il salumiere della Pignasecca morto qualche mese fa durante una rapina nel suo negozio. Era una persona buona, lo amavano tutti, con noi poi era di una disponibilità assoluta: non meritava quello che gli hanno fatto».

Anche stavolta persone innocenti hanno rischiato la vita.
«Lo so bene. Ho parlato a lungo con un infermiere che era lì quando è arrivato il killer. È ancora terrorizzato, non riesce a crederci e non riesce a non pensarci. C'è tanta paura qui in ospedale, e non da oggi. I medici, gli infermieri, tutto il personale sanitario, dovrebbero venire a lavorare, non a scansare botte e proiettili».

Succede spesso?
«È chiaro che l'episodio dell'altra notte rappresenta un evento eccezionale, per fortuna. Diversamente dagli atteggiamenti violenti, e dalle aggressioni, che invece si verificano con grande frequenza soprattutto durante il fine settimana quando bevono, si drogano e poi può accadere di tutto».
 
Sempre al pronto soccorso?
«Quella è la prima linea. Si sparano, si accoltellano, si picchiano: arrivano come le furie, accompagnati da bande di delinquenti e pretendono di scavalcare tutti, farsi medicare per primi e andare via. Naturalmente non sempre è possibile: ci sono regole, codici e priorità da rispettare. A quel punto basta poco a scatenare la violenza e nel mirino, come al solito, finiscono medici e infermieri che hanno la sola colpa di essere lì per aiutarli. Ogni notte ne succede una. Prima o poi dovranno venire a lavorare con l'elmetto. La direttrice sanitaria, Maria Corvino, fa un lavoro straordinario, è sempre presente, vorrebbe che tutto funzionasse alla perfezione, ma rispetto a tanta violenza criminale c'è ben poco da fare».

Forse ci vorrebbero maggiori controlli?
«La sorveglianza c'è: l'ospedale è presidiato ventiquattro ore su ventiquattro, ma è chiaro che più ne metti, meglio è. Purtroppo certe aggressioni sono imprevedibili e non si fa neanche in tempo a intervenire. So bene come vanno le cose: al pronto soccorso ci vado spesso e vi assicuro che i nostri medici sono eroici».

Qual è il suo ruolo in ospedale?
«Con suor Maria e suor Renata portiamo conforto agli ammalati, materialmente e spiritualmente, soprattutto in momenti come questo quando la paura e lo sconforto rischiano di prendere il sopravvento. Anche nell'ambito sanitario ho registrato un grande malessere e tanta amarezza».

Preoccupazioni e inquietudini legittime e condivisibili.
«Certo, ci mancherebbe.
Quello che però sto dicendo a tutti, pazienti, dottori e infermieri, è che non dobbiamo arrenderci, non possiamo cedere alla violenza e alla criminalità altrimenti la guerra sarà persa. E invece, con l'aiuto del Signore, prima o poi a vincerla saremo noi».

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