Se la pietas cancella lo spirito dell'odio

di Titti Marrone
Domenica 28 Ottobre 2018, 08:00
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Ora qualcuno dirà che farsi fare un prelievo di saliva o anche di sangue non costa niente. Che le centinaia di ragazze e ragazzi arrivati ieri in piazza del Plebiscito a Napoli fin dalle 8,30 per il test di compatibilità del midollo osseo da donare al bimbo Alessandro Montresor hanno voluto sentirsi incorniciati nella foto dorata dei buoni sentimenti. Ma quella lunga fila paziente e silenziosa e bellissima di giovani tra i 18 e i 35 anni rimasta a scorrere per ore, zittendo quel qualcuno, ribadisce molte altre cose. Che se pure si fosse trattato di generosità low cost, sarebbe ora di dire: meglio i sentimenti buoni che quelli cattivi. Perché nel tempo della prepotenza, così poco attento alla pietà per i deboli, per gli ultimi, perfino per quelli che si hanno più prossimi, un segnale di attenzione alla sorte di un bambino, così corale, sommesso, sentito, restituisce fiducia nel futuro. Perché quei ragazzi napoletani, in fila non per un autografo o per un talent ma per aiutare qualcun altro, invece di andarsene a spasso in un sabato di festa, si sono staccati dallo spirito del tempo dell'odio. Con un semplice gesto, che sempre a quel qualcuno potrà apparire da libro Cuore. Mentre invece è utile a ricordare la parola pietas, centrale nel lessico in cui si radicano la nostra lingua e la nostra civiltà, ma adesso sopraffatta dai disvalori dominanti dell'odio, della rivalità di tutti contro tutti.

Chi invoca la pietà, le buone pratiche, è tacciato sempre più spesso di buonismo, come se fosse meglio il cattivismo dilagante anche come sguaiato sberleffo nella dimensione pubblica. E a far tendenza sono l'aggressività gettata in faccia al nemico, la diffidenza verso chi viene percepito come diverso, straniero. Ma da Eliana Marra, Marco Rosolino, Claudio Corino e da tutti gli altri ragazzi in fila ieri, auto-convocatisi tramite i social, è arrivato forte e chiaro un segnale contrario, che scalda il cuore e mostra anche la forza positiva del web: smentendo le profezie apocalittiche, gli usi falsamente democratici ma in realtà autocratici, la rete può sortire risultati straordinari aggregando i giovani là dove non riescono più a farlo la politica o i media tradizionali. Così il post lanciato dai genitori su Facebook e condiviso innumerevoli volte ha avviato un processo naturale di partecipazione pubblica a un dramma che sembrava destinato a restare confinato in un ambito dolorosamente privato. Smuovendo, si spera al meglio, anche la sanità pubblica, ieri alle prese con l'esaurimento dei kit per i test salivari.

L'immagine di tutti quei ragazzi in fila, poi, ci dice anche altro: si riannoda alla tradizione del solidarismo napoletano, una specie di marchio identitario riconosciuto nei secoli come paradigma speciale di umanità, vera o esagerata che sia la famosa questione per cui, se cadi per terra camminando a Napoli, c'è sempre qualcuno pronto a soccorrerti, mentre altrove domina l'indifferenza di chi tira dritto per la sua strada.

Però non è affatto importante stabilire se, nelle file dei potenziali donatori di midollo osseo per Alex, siano stati più numerosi i giovani in piazza ieri a Napoli o quelli presenti qualche giorno fa a Milano. Questa non è una gara tra città, ma quasi quasi sarebbe bello se lo fosse. E non sarebbe bello se a essere alla moda fossero gesti come il mettersi in fila dei ragazzi per salvare la vita di un bambino, invece che gli insulti degli odiatori da tastiera, o la cinica indifferenza, o la risata cattiva sui guai degli altri, o l'augurarsene la morte?
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