Napoli, è allarme microcriminalità: un minorenne su due torna a delinquere

Napoli, è allarme microcriminalità: un minorenne su due torna a delinquere
di Valentino Di Giacomo
Venerdì 13 Dicembre 2019, 08:30 - Ultimo agg. 10:51
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Continuano a delinquere anche da adulti, come se lo Stato non avesse strumenti adatti per recuperare i tanti ragazzini napoletani che finiscono nelle maglie della giustizia. La presenza del sistema camorristico influenza negativamente la redenzione dei minorenni partenopei. Succede solo a Napoli, il triste primato è tutto all'ombra del Vesuvio. I giovani sottoposti all'istituto della messa in prova continuano a commettere reati con numeri che fanno rabbrividire: quasi uno su due, mentre nel resto d'Italia le statistiche indicano che la recidiva c'è solo per un ragazzo su quattro. Dati che sono emersi grazie ad un'accurata analisi richiesta dalla Commissione parlamentare Antimafia al Centro di ricerca Res Incorrupta dell'Università Suor Orsola Benincasa, presentata ieri pomeriggio nell'ateneo napoletano.

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I numeri sono eloquenti e riguardano soprattutto quei minorenni sottoposti all'istituto della messa alla prova. I ragazzini, dopo aver commesso reati in odore di camorra (spaccio di droga, utilizzo di armi da fuoco, rapine, omicidi, estorsioni), tornano a delinquere anche da maggiorenni nel 41% dei casi rispetto ad una recidiva del 22% a livello nazionale nei casi di messa alla prova. «A 30 anni dall'introduzione in Italia all'interno del processo minorile dell'istituto della messa alla prova possiamo dire che si tratta di uno strumento rieducativo abbastanza efficace - ha spiegato Isaia Sales, docente di Storia delle Mafie e coordinatore del Centro di Ricerca del Suor Orsola - ma non del tutto sufficiente a favorire il pieno reinserimento sociale dei minori soprattutto in aree come quella del Napoletano ad altissima densità di presenza di organizzazioni di stampo mafioso nelle quali spesso l'arruolamento diventa un percorso dal quale difficilmente si riesce a tornare indietro».

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I giovani aderiscono all'istituto della messa alla prova, generalmente si tratta di percorsi - a seconda della gravità del reato commesso - che durano da uno a tre anni. La maggior parte delle volte i ragazzi sono inseriti in comunità, seguiti da psicologi e assistenti sociali, talvolta imparano un mestiere o studiano. «L'obiettivo non è rieducare come accade per i più grandi - ha spiegato nel corso del convegno la presidente del Tribunale minorile, Patrizia Esposito - ma educare, offrire percorsi alternativi per mostrare ai ragazzini che un'altra strada è possibile». Il percorso ha esito positivo per oltre l'80 per cento dei casi, ma i problemi cominciano quando i ragazzi escono dalle associazioni e tornano a casa. Oltre il 60 per cento di questi ragazzi vive infatti in famiglie in cui i genitori hanno precedenti penali.

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Una volta che i giovanissimi rientrano a contatto con il tessuto sociale originario, per quanto abbiano dato segnali di ravvedimento nel corso della messa alla prova, ricominciano a delinquere. Il pericolo di recidiva è ancora più alto in determinati quartieri dove è più forte la presenza dei clan: Barra, Ponticelli, Sanità, Quartieri Spagnoli, Scampia, Secondigliano. Lo Stato esiste fin dove ci sono istituti che accolgono questi ragazzi, dopo sono abbandonati a se stessi e ricadono in tentazione. «Una soluzione - ha spiegato il deputato del Pd, Paolo Siani - sarebbe togliere questi minori alle famiglie per tempo».

E la provincia di Napoli raccoglie anche un altro triste primato. «Se nelle altre città - ha spiegato l'autrice della ricerca, Simona Melorio - il reato più comune è lo spaccio di droga, nel Napoletano i ragazzini si rendono invece protagonisti di rapine, spesso in gruppo».

Un reato per cui occorre sangue freddo, pianificazione e mettere nel conto di dover fare molto male la propria vittima.
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