Furono i vertici del clan D’Amico a ordinare la morte di Patrizio Reale, ucciso nel cortile della sua abitazione nell’ottobre di tredici anni fa. È quanto emerso al termine di una complessa attività investigativa condotta dagli investigatori della polizia di Stato e che, ieri mattina, ha portato all’esecuzione di sei ordinanze di custodia cautelare nei confronti di mandanti ed esecutori del delitto. Il provvedimento è stato, infatti, notificato ai fratelli Luigi, Gennaro e Salvatore D’Amico, indicati dalle forze dell’ordine come i capi dell’omonimo sodalizio criminale, e di Armando De Maio e Ciro Ciriello, affiliati alla cosca. Un altro provvedimento, emesso dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale per i minorenni di Napoli, è stato eseguito nei confronti di un altro indagato, all’epoca dei fatti, non ancora maggiorenne.
La morte di Reale, esponente di spicco dell’omonima famiglia malavitosa di San Giovanni a Teduccio, si inquadra, secondo gli investigatori, nello scontro tra organizzazioni camorristiche per il controllo degli affari illeciti nel popoloso quartiere della periferia orientale.
Fin da subito gli investigatori ipotizzarono che dietro l’omicidio potesse esserci la regia dei D’Amico, tuttavia solo in tempi più recenti, con la defezione di alcuni affiliati al sodalizio, come Umberto D’Amico, figlio di uno dei fondatori della cosca, gli elementi raccolti hanno ottenuto i riscontri necessari per portare all’incriminazione dei vertici del clan. Le dichiarazioni di D’Amico, unite a quelle di altri collaboratori di giustizia, hanno permesso inoltre di ricostruire lo scenario criminale dell’intera periferia orientale di Napoli e, in particolare sulla sanguinosa faida tra i Mazzarella-D’Amico e i Reale-Rinaldi. Una faida durata, tranne momenti di calma apparente, per oltre un trentennio e che, allo stato attuale, sembra essersi conclusa con la vittoria dello schieramento mazzarelliano e dei suoi alleati. Non a caso, l’ultimo colpo di coda del violento scontro, fu l’omicidio di Luigi Mignano, cognato dei fratelli Rinaldi, trucidato dinanzi agli occhi del nipotino di pochi anni. Un delitto, anche quello, che porta la firma dei D’Amico.