Decapitata la paranza dei bambini, il papà di Luigi: noi dimenticati, adesso piantiamo un albero

Decapitata la paranza dei bambini, il papà di Luigi: noi dimenticati, adesso piantiamo un albero
di Giuseppe Crimaldi
Domenica 10 Marzo 2019, 09:00 - Ultimo agg. 12:17
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«In questo momento non posso fare altro che dire grazie a tutti: ai magistrati della Procura, alla polizia, ai carabinieri e a quanti continuano a lavorare per riuscire a ricostruire la verità sulla morte di mio figlio. Non ho mai chiesto vendetta, ma giustizia: anche se so che niente e nulla potrà mai far tornare in vita Luigi e restituirlo alla nostra famiglia». Vincenzo Galletta sa che nessuna arresto, nessuna sentenza e nessun ergastolo potrà sanare una ferita sempre aperta. E sa bene - anche se non troverà mai la forza di ammetterlo - che, alla fine, la condanna più dura è quella che sconterà per il resto della vita con sua moglie e i due fratelli minori del giovane carrozziere massacrato dalla follia dei camorristi.
 

Alle quattro del pomeriggio Vincenzo è accanto ai volontari di «Libera» che stanno ripulendo Largo San Giovanni Maggiore. Lo sguardo è lo stesso di quando lo incontrammo, nove mesi fa, nell'appartamentino a due passi dal luogo in cui avvenne l'omicidio del figlio: uno sguardo di dolorosa rassegnazione.
 
«Gli arresti di oggi - spiega al «Mattino» - sono sicuramente un fatto importante. Ma quando torno a casa il dolore diventa insopportabile. Mia moglie ancora ci parla, con Luigi... E per quanto dobbiamo pensare ai nostri altri due ragazzi, il ricordo di chi non c'è più diventa insopportabile. Non è vero che il tempo attenua i dolori: anzi, li rende insopportabili». E dire che nulla di buono si è aggiunto da quel maledetto 31 luglio di quattro anni fa. Luigi era l'unico componente del nucleo familiare che lavorava: riusciva a portare a casa un po' di soldi, soldi puliti, denaro onestamente guadagnato sporcandosi le mani di grasso in un'autofficina di via Carbonara.

«Io - prosegue il papà della vittima innocente di camorra - continuo a essere disoccupato, provo ad arrangiarmi con qualche lavoretto, devo pur tirare avanti e mantenere i miei. Nessuno si è fatto avanti per offrirmi un'occupazione; a dicembre la Regione Campania mi ha fatto pervenire un piccolo assegno, una tantum: ma quei soldi sono già finiti».

Vincenzo affronta con estrema dignità, e quasi con pudore questo argomento. E si intuisce che lo fa perché non vorrebbe mai sentirsi come chi è costretto a chiedere qualcosa, per sé e per ciò che resta della sua famiglia. Così lo sguardo si immalinconisce ancor di più. Ma poi riprende: «Al di là della mia situazione economica, adesso è altro che vorrei dalle istituzioni. Mio figlio è morto senza un perché, ed ora forse meriterebbe qualcosa».

Un gesto concreto per ricordare. Una iniziativa capace di mantenere vivo - oltre al dolore - anche il ricordo di uno dei tanti innocenti caduti per colpa di una furia nera chiamata camorra. «Sebbene abbiamo ricevuto anche lo sfratto, noi vogliamo continuare a vivere lì, a via Carbonara. E penso che sarebbe una cosa bella e giusta se a Luigi qualcuno volesse dedicare un qualcosa, magari anche una strada. Io mi accontenterei anche solo di un albero, sì un albero».

«A Napoli - dice ancora Vincenzo - devono cambiare le cose. In alcuni quartieri, come il mio, si continua a vivere nel terrore. È come se la storia recente e passata non abbia insegnato nulla a chi continua a vivere di abusi e sopraffazioni. Soltanto l'altra notte hanno sparato di nuovo a due passi da casa mia: ero affacciato al balcone e ho sentito cinque colpi di pistola. I giovani, soprattutto loro, devono rendersi conto che bisogna reagire a tanta violenza e cosrtuire un futuro migliore per tutti».
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