Napoli, il pentimento del boss Cimmino: «Ecco come gestivamo gli appalti al Cardarelli»

Napoli, il pentimento del boss Cimmino: «Ecco come gestivamo gli appalti al Cardarelli»
di Leandro Del Gaudio
Venerdì 15 Aprile 2022, 23:59 - Ultimo agg. 17 Aprile, 09:49
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Sta raccontando delle ricchezze accumulate nel tempo, delle perizie cliniche che gli hanno probabilmente consentito vantaggi patrimoniali, dei delitti eccellenti (non è escluso un riferimento a quel maledetto agguato in cui era l’obiettivo numero uno, ma venne uccisa per errore Silvia Ruotolo), ma anche del fiume di denaro pubblico finito nelle casse della camorra, leggi appalti al Cardarelli. Senza escludere un passaggio su uno strano episodio accaduto qualche anno fa, il suicidio di un imprenditore immobiliare al quale il clan del Vomero aveva affidato la gestione di 600mila euro. Un fiume in piena Luigi Cimmino, il boss del Vomero che ha deciso di collaborare con la giustizia. Messo alle strette dalle indagini dei pm Celeste Carrano e Henry John Woodcock, sotto il coordinamento dello stesso procuratore Gianni Melillo, Cimmino ha deciso di confermare la sua scelta collaborativa. E ai pm dice: «Ho iniziato la mia attività criminale quando avevo 13 anni, quando facevo rapine assieme ai miei coetanei», secondo quanto emerge dal verbale depositato ieri mattina nel corso dell’udienza sul racket agli ospedali collinari, a carico di un pezzo di presunto malaffare vomerese e legato (o subordinato) alla cosiddetta Alleanza di Secondigliano. 

Dunque, è crollato Luigi Cimmino, che conferma la sua determinazione, senza ripetere i passi falsi del 2018, quando - dopo una iniziale scelta collaborativa - fu costretto a reindossare i panni del boss («la mia famiglia aveva paura e fece di tutto per indurmi a non pentirmi»).

Poche ma fitte di nomi le pagine di verbali depositate ieri dinanzi al gup di Napoli.

A cominciare dal suo presunto contraltare criminale nell’area collinare, parliamo del coimputato Alessandro Desio, con il quale - dopo anni di attrito - era nato un rapporto di alleanza, cementato da un patto consacrato: «All’inizio non mi fidavo di lui, poi Desio decise di giurarmi fedeltà, all’interno della chiesa di San Gennaro ad Antignano». Poi, a proposito del suo presunto complice, aggiunge: «Vi devo raccontare degli omicidi di Camplone e Basile…». 

Ma prima di dare inizio al racconto di racket e violenza, Luigi Cimmino parla del misterioso suicidio di un imprenditore nel settore immobiliare, a cui «avevo affidato la gestione dei miei soldi, erano 500 o 600mila euro… poi si tolse la vita, credo nel 2010, non ne seppi più nulla…», ha spiegato il neo collaboratore di giustizia in un verbale zeppo di pagine omissate.

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Ma a leggere le prime cose messe agli atti, la Dda di Napoli incassa conferme nel processo sugli appalti all’interno degli ospedali collinari, tra cui il Cardarelli, Monaldi, Pascale, Cto. Spiega il pentito: «Non c’è un appalto che non venga taglieggiato. Si va dal racket per il restauro dei padiglioni interni al Cardarelli, alla gestione delle società che assicurano service legati alla pulizia, alla mensa, al latte, alle macchinette di distribuzione di alimenti, fino ad arrivare all’affitto di televisori per i pazienti nei vari padiglioni». 

Le accuse in questo caso vengono indirizzate nei confronti di Luigi Vitale, che si sarebbe industriato per gestire e controllare due appalti nel Cardarelli: si tratta di lavori per 50 milioni di euro, per quanto riguarda il rifacimento di alcuni padiglioni interni al principale ospedale del sud Italia; e una seconda tranche per la realizzazione di un parco tematico ricreativo all’esterno del nosocomio. Due lavori per i quali sarebbe stata versata una tangente da 400mila euro, che sarebbe finita nelle tasche del clan Cimmino, al punto tale da creare tensioni in seno all’organizzazione criminale del Vomero.

Una tensione che Luigi Cimmino ha appreso dal figlio Diego, contattato da altri affiliati prima della retata di qualche mese fa. Ha spiegato il boss pentito: «So solo che per i lavori al Cardarelli doveva entrare in gioco una ditta amica a noi e a quelli di Giugliano (clan Mallardo) che, non appena avesse messo i ferri a terra, avrebbe pagato la tangente…». 

Verifiche in corso da parte della Dda di Napoli. Racket anche su quelli che Cimmino definisce «schiattamorti», a proposito di due note agenzie di pompe funebri che lavoravano per il trasporto dei defunti in ospedale: «Pagavano in cambio del privilegio di lavorare negli ospedali, così non si uccidevano tra di loro». Agli atti anche una bomba molotov in via Pigna, che ha recentemente distrutto un capannone di un imprenditore costretto a versare 160mila euro («… a quelli di Soccavo»); al racket sulle bancarelle di Antignano e sui lavori di restauro dei palazzi Liberty al Vomero. Poi il capitolo collusioni con forze dell’ordine, esponenti del mondo medico e sanitario che avrebbero garantito benefici carcerari al boss che iniziò come rapinatore a 13 anni.

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