Vive da anni in Italia, fa la badante, viene da un Paese povero, Napoli è la sua città, quella che l’ha accolta come una figlia. «Ed è per questo - spiega oggi agli inquirenti - che non tollero che esista la camorra. Da noi, in Romania, ci sono tanti problemi, tante emergenze, ma è intollerabile quello che ho visto in questi giorni. È questo il motivo che mi spinge a denunciare, è questo il motivo che mi ha indotta a impugnare il cellulare e a filmare quegli uomini: ecco il video della loro irruzione nel nostro palazzo, ecco chi erano quelli che volevano la tangente e che hanno provato buttare fuori i proprietari di questo stabile».
Parola di Irina, una sessantenne che svolge in modo regolare il lavoro di domestica, vittima ed eroina nel corso dell’inchiesta culminata pochi giorni fa negli arresti di quattro presunti estorsori del clan Giuliano. Ricordate la storia raccontata lunedì ai lettori del Mattino? Racket sulle case date in fitto agli immigrati, in cella finisce Salvatore Giuliano, killer di Annalisa Durante (era stato scarcerato un anno fa, dopo quattordici anni di cella), ma anche tre presunti affiliati del nuovo clan Giuliano, vale a dire Antonio Morra, Giuliano Cedola e Cristiano Giuliano (difesi dai penalisti Francesco Esposito, Lepoldo Perone, Roberto Saccomanno). Un’inchiesta lampo, grazie al lavoro di appostamento degli uomini della Mobile agli ordini del primo dirigente Alfredo Fabbrocini, rafforzata dalle denunce delle presunte parti offese, che hanno confermato il clima di violenza che si è abbattuto sulle loro vite a partire dai primi giorni di maggio. Quattro in cella, ma sono almeno una decina quelli che potrebbero essere coinvolti in questa vicenda di violenza e soprusi. Tutto è iniziato pochi giorni fa, quando un gruppo di soggetti legati a Salvatore Giuliano fa irruzione all’interno di uno stabile, caccia fuori dalla sua abitazione un imprenditore, si impossessa del suo appartamento e pretende di riscuotere il fitto dagli altri coinquilini.
Una storia che merita una premessa. Non siamo in uno stabile come gli altri, ma in un edificio che per almeno un trentennio - dagli anni Settanta al Duemila - ha rappresentato il simbolo del potere camorrista a Napoli: siamo in via Pace a Forcella, nel palazzotto-roccaforte che fu di Luigi Giuliano (da tempo collaboratore di giustizia). Un edificio che è ora finito in possesso di un imprenditore napoletano e di un suo socio che, dopo aver ristrutturato alcune abitazioni, si è fatto avanti per acquisire l’immobile partecipando a un’asta giudiziaria. Ed è a partire dalla sua offerta, che i Giuliano sono entrati in azione. Erano capitanati da Salvatore il Rosso («diventato famigerato e temuto da queste parti dopo l’omicidio di Annalisa Durante», spiega l’imprenditore). E cosa volevano? Seguiamo il racconto dell’imprenditore che aveva provato ad acquistare una parte dell’edificio: «Vennero in dieci, mi presero di peso e mi buttarono in strada. Dissero che questo palazzo è dei Giuliano, è sempre stato di loro appartenenza e che da, quel momento in poi, avrebbero riscosso il fitto dalle mani degli inquilini». Ed è questo il secondo atto dell’inchiesta. Pochi giorni fa, un’altra irruzione capitanata da Salvatore il rosso (e i suoi affiliati), che radunano tutti gli inquilini di vico Pace, con una sorta di ultimatum: «Oggi è giorno di pagamento, queste sono le nostre case, dovete pagare a noi! E non a Behar (l’uomo che aveva provato ad acquistare all’asta il palazzo, dopo averlo riattato). Lui non c’entra! Qui a Forcella comandiamo noi...».
Ma la richiesta estorsiva scatena la reazione delle vittime. Behar è terrorizzato, ma va fino in fondo. Denuncia, offre delle descrizioni. Fanno lo stesso alcune donne, che non ci stanno a pagare due volte il fitto (che veniva riscosso comunque in nero), tanto da allertare gli inquirenti. È il giorno della riscossione, questa volta in via Pace ci sono anche gli uomini della Mobile, che riescono a identificare i quattro presunti estorsori in manette. Ma c’è di più. Nel giorno del blitz e delle manette in flagrante, spicca il ruolo di una donna, che in quegli attimi di caos e paura non si perde d’animo: «Ho preso il cellulare e ho filmato quelli che erano venuti a chiederci i soldi, che con violenza hanno buttato fuori Behar. Sono quelli della camorra, consegno questo video, si vedono quelle persone prepotenti che scappano con l’arrivo della polizia...».
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