Napoli, il riscatto dell'ex boss: «Dedico la mia vita ai ragazzi ma per i clan sono un fastidio»

Napoli, il riscatto dell'ex boss: «Dedico la mia vita ai ragazzi ma per i clan sono un fastidio»
di Marco Di Caterino
Sabato 30 Ottobre 2021, 10:31
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Bruno Mazza, deus ex machina dell'associazione «Un'Infanzia da vivere», ha 40 anni. Di questi dieci trascorsi a Napoli, dove è nato nella Sanità, prima di essere «deportato» al Parco Verde. Una adolescenza di strada fatta di furti, qualche rapina, seguita da cinque velocissimi anni nell'esercito di 160 affiliati al clan Russo, di cui era il vice e che all'epoca controllava lo spaccio. Altri undici in carcere. «È stata la mia salvezza. Ho pagato il mio debito, ho studiato, mi sono diplomato in ragioneria. Ora mi impegno affinché un'altra infanzia non finisca per fare la stessa fine».

Perchè la camorra ha incendiato i due pulmini?
«Nel quartiere dopo la barbara uccisione di Antonio Natale, tira una brutta aria.

Il suo omicidio ha sconvolto tutti. Le piazze di spaccio sono sotto la costante pressione delle forze dell'ordine, non incassano abbastanza, e vedere girare tra i viali giornalisti e telecamere fa saltare i nervi a chi comanda. A molti ha dato fastidio».

Hanno dato fastidio anche le sue parole.
«Ho detto che la camorra è una Merda, con la emme maiuscola. Che accoglie con false promesse i ragazzini, abbagliandoli con il facile guadagno, rubandogli l'infanzia. E che li induce a non rispettare nessuna regola, e che li alleva al sangue».

Parole che avrà detto e gridato mille volte in mille occasioni, senza subire ritorsioni.
«È vero! Forse, anzi sicuramente avrà dato più fastidio delle altre volte perché ho illustrato l'attività dell'associazione. E insieme alle telecamere c'erano anche i rappresentanti della Fondazione Sud, quelli della Uisp Napoli e dell'università di Cassino e del comune di Caivano, arrivati al Parco Verde per una ricognizione di un bene confiscato che sarà ristrutturato nell'ambito del progetto La Bellezza Necessaria. Il bene è stato assegnato all'associazione: 300mila euro in tre anni e ospiterà un centro polifunzionale. Fino a ieri quel bene è stato una base del narcotraffico. Ecco cosa fa incazzare i camorristi, che pretendono che il degrado resti tale perché fa buon gioco ai loro sporchi interessi».

La sua associazione, che in passato è stata finanziata anche dalla fondazione CannavaroFerrara, di cosa si occupa.
«Grazie ai volontari abbiamo attivato il laboratorio Le mani... in arte, dove accogliamo una cinquantina di bambini al giorno che impastano la creta, ma anche la farina per le pizzette e i cornetti che cuociamo all'istante per la merenda o la cena. Per alcuni di loro è l'unico pasto della giornata. Dopo anni e tante uscite con i bambini a raccogliere la plastica, abbiamo raggiunto un risultato eccezionale: tre famiglie su dieci ora fanno la differenziata. Tutti i giorni puliamo le aiuole. La mia più grande emozione è stata vedere i bambini di fronte al mare che non avevano mai visto, come nemmeno sapevano cosa fosse un'altalena. Accogliamo anche i ragazzi difficili in prova ai servizi sociali. Tra loro abbiamo avuto anche il povero Antonio Natale».

Oltre all'associazione e alla parrocchia di don Maurizio c'è il nulla.
«Giudichi lei. Nel quartiere vivono mediamente seimila persone. Ci sono solo quattro negozi, un bar, l'ortofrutta, una pizzeria e un barbiere. Poi il nulla assoluto. Noi cerchiamo di dare un'anima a questo posto, ma quando hai già sedici anni non hai prospettive se non lo spaccio o le rapine. Chi finisce in carcere, e sono tanti, ha un costo sociale. Perché non spendere parte dei soldi per il mantenimento in carcere per creare qui il lavoro? Nessuno nasce camorrista o assassino. Con la prospettiva di guadagnare onestamente il pane, la quasi totalità sceglierebbe la legalità e io chiuderei con immensa gioia l'associazione. Chiamatela provocazione, ma date un futuro a questi bimbi, affinché non ci sia mai più un Antonio Natale».
 

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