Napoli. Carabiniere stermina la famiglia e si uccide: «Una coppia normale, sembravano felici»

Napoli. Carabiniere stermina la famiglia e si uccide: «Una coppia normale, sembravano felici»
di Paolo Barbuto
Mercoledì 6 Maggio 2015, 08:50 - Ultimo agg. 15:02
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Lui era cresciuto nel quartiere, gli anziani lo ricordano quando giocava per i vicoli assieme agli altri ragazzini, i giovani invece non ricordano nulla.

Con l'adolescenza, raccontano, Alfredo Palumbo era diventato sempre più schivo, riservato. E poi la scelta di arruolarsi nell'Arma l'ha portato lontano da Napoli, l'ha costretto a spezzare i lagami con le persone di vico Bagnara, vico San Domenico Soriano. La carriera in divisa l'aveva portato, lungamente, a Firenze dov'era stato assieme alla sua Consuelo e dove è cresciuto il piccolo Francesco. Poi, un paio d'anni fa, la possibilità di tornare a Napoli: i lavori per ristrutturare l'appartamento al quarto piano della strada dov'era nato, il ritorno a casa.

Mai una parola fuori posto, mai un litigio, non un indizio di difficoltà: «Sempre corretto, buongiorno al mattino, buonasera al rientro - racconta il giovane elegante meccanico che ha l'officina di fianco al portone - Nessuno slancio, ad essere sincero, ma questo non significa nulla.

Era semplicemente schivo, ma non ombroso, anzi sorridente sempre». I vicini di casa, i negozianti, le persone del vicolo non riescono a trovare un difetto nella famiglia Palumbo. Anche se tutti, ineluttabilmente, sottolineano che erano estremamente ritrosi e riservati, quasi «invisibili» in una zona della città dove tutti si conoscono e si scambiano visite, piaceri, attenzioni: «No, non erano persone fatte così - dice una donna che non riesce a trattenere le lacrime - non erano di quelli che andavano a chiedere lo zucchero ai vicini quando ne avevano bisogno. Però... che persone perbene».

Lui usciva al mattino presto per andare al lavoro. Non faceva il carabiniere in strada ma stava in ufficio, anche se in passato i suoi amici lo ricordano alla guida delle moto dell'Arma. Lei, Consuelo Molese, 42 anni, si prendeva cura del figlio, lo accompagnava a scuola e poi andava al lavoro presso lo studio legale della sorella. Quando si nomina Consuelo quasi tutte le donne del vicolo si commuovono, si stringono il petto a significare il dolore grande che le attanaglia; quando si nomina la donna uccisa le parole sono più dolci, accorte: «Era sempre ben curata, mai fuori posto, mai sciatta. E poi guardava quel bambino con un amore immenso».

Il dolore si manifesta sotto forma di lacrimoni tenuti dentro a forza, anche se Consuelo, come il marito, non si era calata nella vita «collettiva» del quartiere: «Ma che c'entra - spiega a voce alta una donna corvina e abbondante - non è che quelli che non vengono a prendere il caffè a casa tua sono persone cattive. È questione di carattere». Il piccolo Francesco, undici anni, non scendeva mai a giocare in strada come faceva il papà quando era bambino: come tutti i ragazzini di oggi aveva ritmi di vita intensi fra scuola, compiti, attività pomeridiane, amichetti: «Anche quel bambino era sempre curatissimo - Sono le donne che si accavallano nei racconti - bei vestiti, scarpe perfette, mai sporco o sudato come capita a tanti bambini. Sembrava un piccolo principe».

Nel momento dell'emozione e del dolore è normale che si raccontino solo i lati positivi delle persone.

Però quando c'è una tragedia come quella di Vico Bagnara, c'è sempre chi conosce un retroscena, chi ha sentito che nella coppia c'era tensione, chi può raccontare di aver sentito marito e moglie che litigavano. In questo caso, invece, nessuno riesce a pescare dalla memoria un momento di tensione, un urlo ascoltato dal balcone lasciato aperto, uno strattone, una parola di rabbia o di delusione, nulla di nulla: agli occhi delle persone che vivevano attorno a loro, Alfredo e Consuelo erano una coppia senza ombre.

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