Modificano casa per la figlia disabile e i parenti li denunciano: «È una scusa»

Chiara nell'ascensore che la porta nella sua stanza
Chiara nell'ascensore che la porta nella sua stanza
di Gennaro Morra
Mercoledì 22 Luglio 2020, 14:36 - Ultimo agg. 18:22
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Due villette confinanti, due famiglie, imparentate tra loro, che litigano per dei lavori iniziati per ampliare una delle due costruzioni. Il contenzioso arriva in tribunale, il giudice dà ragione a chi sta realizzando quelle modifiche, ma l’altra famiglia pare sia intenzionata a impugnare il provvedimento per ricorrere addirittura al Consiglio di Stato​, giurando di non darsi pace finché quei lavori non saranno annullati. Fin qui sarebbe una delle tante controversie che affollano i Tribunali amministrativi regionali del nostro Paese, se al centro di questa storia non ci fosse una ragazzina di 11 anni affetta da una grave disabilità. Infatti, è per renderle casa più accessibile e la vita più agevole che mamma e papà hanno chiesto e ottenuto dal Comune di Mugnano di Napoli le licenze per realizzare quei lavori. Ed è soprattutto a lei che i parenti stanno facendo la guerra.
 
«Chiara alla nascita è stata colpita da una paralisi cerebrale infantile, quindi non cammina e non riesce a star seduta senza un sostegno – spiega Rosario, papà della bambina –. Crescendo e avendo altri figli, ci siamo resi conto che ci serviva più spazio. In particolare, c’era bisogno di una stanza, dove lei potesse stare tranquilla con il deambulatore e tutti gli ausili che le servono, e di un ascensore per permetterle di raggiungere quella stanza». Perciò i genitori di Chiara chiedono i dovuti permessi al Comune di Mugnano, dove sorge la villetta: «Il progetto prevedeva l’ampliamento dell’abitazione, la realizzazione di un terrazzo e di un elevatore costruito sul lato opposto al confine tra la nostra abitazione e quella dei nostri parenti che, tra l’altro, vivono a Roma – spiega ancora l’uomo, anche lui disabile all’80 per cento per un incidente di cui restò vittima anni fa –. Prima di cominciare i lavori, avevamo già un accordo con loro in cui avevamo concesso diverse modifiche al progetto. Non contenti, dopo l’inizio dei lavori, si fanno vivi e ci dicono di fermare tutto. A quel punto, pur di andare avanti, accettiamo di firmare un compromesso, che prevedeva altre modifiche al progetto, la concessione di un pezzetto del nostro terreno sul confine e l’accordo di non usare il terrazzo».

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Così i lavori proseguono, ma i parenti tornano a protestare una volta ultimato il terrazzo: «Abbiamo solo messo una tenda parasole, ma loro pretendevano che lo lasciassimo spoglio. Allora, in via informale, ci  hanno fatto sapere che sarebbero stati disposti a non ricorrere al Tar previo il riconoscimento di un’ingente cifra (a quattro zeri), senza tuttavia abbandonare del tutto le pretese su come utilizzare gli spazi a nostra disposizione. Ovviamente, non abbiamo accettato, siamo andati in tribunale e il giudice ha dato ragione a noi. E ora pare che i nostri parenti abbiano chiesto all’avvocato d’impugnare la sentenza e ricorrere al Consiglio di Stato».
 
Nel frattempo i lavori non sono stati completati e la famiglia di Chiara è stata costretta a dirottare i soldi che servivano a costruire una casa su misura per lei sulle spese processuali: «Danaro che ci verrà rimborsato solo in parte – chiarisce Rosario –. Ma quello che più ci preoccupa è il fatto che nostra figlia ha perso la sua serenità, turbata da questa situazione, e ci chiede continuamente cosa sta succedendo. Come glielo spieghiamo che i nostri parenti ci accusano di usare lei per allargare casa e che non fermeranno questa battaglia legale finché non ci faranno buttare tutto giù? Ma noi non ci arrendiamo e difenderemo fino in fondo il suo diritto a vivere in una casa accessibile e accogliente».

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