Napoli, casalinghe prostitute al Bingo
Febbre del gioco: ecco le storie choc

Napoli, casalinghe prostitute al Bingo Febbre del gioco: ecco le storie choc
Giovedì 17 Marzo 2011, 11:08 - Ultimo agg. 19 Marzo, 15:19
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NAPOLI - L’et media oscilla tra i 18 e i 40 anni, il sesso riguarda in prevalenza donne, lo status sociale di regola medio-basso, la motivazione la continua (e disperata) ricerca del benessere economico e, nella gran parte dei casi, anche di quello psico-fisico (che non arriverà mai).



Alla base, soprattutto, c'è il quotidiano sperpero di denaro che li rende assuefatti a quella che diventa, col tempo, una vera e propria droga. Sono gli aficionados del gioco d'azzardo che, a Napoli e in Campania, tocca punte altissime. Con dati più che allarmanti: secondo le statistiche, infatti, il 99% dei giocatori associa l'uso di sostanze stupefacenti - in prevalenza cocaina - alla sfrenata passione per videopoker, slot machine e gratta e vinci.



Questi ultimi, divenuti uno dei passatempi più preoccupanti specie tra i giovani. A lanciare l'allarme è l'associazione Giocatori Anonimi di Napoli, che ha sede al civico 8 di via dei Cimbri e che ha attivato addirittura un centralino (si può chiamare al 3331437994) per combattere un fenomeno che si è trasformato nella piaga sociale del nuovo millennio. Storie choc, quelle raccontate dall’Associazione giocatori anonimi: si va dalle casalinghe che si prostituiscono nei bagni delle sale Bingo pur di racimolare soldi per giocare ai videopoker agli studenti tra i 16 e i 17 anni che rubano in casa dei genitori.



«Abbiamo creato un gruppo di aiuto e ascolto - spiega uno dei responsabili, che per ovvie ragioni preferisce rimanere nell'anonimato - per spingere chi è affetto da questa dipendenza ad uscire allo scoperto e rivolgersi a noi. Occorre partire innanzitutto dall'autoconsapevolezza, o meglio dalla convinzione e dall'accettazione che si ha bisogno di essere aiutati. Ma non necessariamente da uno specialista, nella fattispecie uno psicologo o un sociologo, bensì attraverso il confronto ed il dialogo con gli altri».



Nella piccola comunità di via dei Cimbri sono attualmente circa una cinquantina coloro che si sono iscritti all'associazione per venir fuori dal tunnel in cui sono piombati, insieme alle loro famiglie, a causa del gioco d'azzardo. È nell'immobile dove pagano il fitto alla chiesa valdese, che ne è proprietaria, che uomini e donne si raccontano le loro storie personali.



Tutto partendo da un codice di regole da rispettare. «Le norme principali - spiega ancora il rappresentante dell'associazione - sono: prendere coscienza del problema, frequentare gli altri soci e ascoltare il loro vissuto, ma soprattutto non giudicare mai gli errori degli altri né i propri». Varia la provenienza geografica degli associati, che non sono soltanto partenopei. C'è chi viene, infatti, da altre regioni, come la Basilicata, la Calabria e il Molise.



Non è possibile, secondo i responsabili dei Giocatori Anonimi, tracciare un identikit standardizzato del giocatore d'azzardo «tipo». Alla categoria appartengono le fasce sociali più svariate: si va dalla casalinga all'impiegato, dall'imprenditore dapprima proprietario di una catena commerciale che ora è stato costretto a rimboccarsi le maniche e fare il salumiere dopo aver dissipato il proprio patrimonio o, ancora, al libero professionista che ha tentato invano di fare fortuna con video poker e slot machine in bar e tabaccherie, ritrovandosi invece abbandonato dalla consorte.



«Ma vi sono anche molti studenti - fanno sapere dall'associazione - che hanno di solito un'età compresa tra i 17 e i 18 anni, che arrivano addirittura a rubare in casa, ai genitori pur di far soldi per comprarsi abiti e scarpe griffati o il telefonino all'ultima moda. Ecco perché crediamo che sia importante soprattutto il recupero di chi cade nell'inganno del gioco, che regala soltanto un'effimera felicità».



Infine, un dato che emerge, tra gli altri: il 90% di chi è «ammalato» viene spinto a chiedere aiuto all'associazione da un parente e/o da un amico fidato. Affinché la speranza - come si suol dire - non sia l'ultima a morire.



Giuliana Covella
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