Napoli, chi sconta la disonestà dei colletti bianchi

di Isaia Sales
Venerdì 19 Ottobre 2018, 08:00
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Due indagini contemporanee della magistratura napoletana hanno occupato ieri le pagine dei giornali. La prima riguarda migliaia di falsi incidenti stradali con 49 persone indagate, tra cui ben 18 avvocati. La seconda investe concorsi truccati per l'accesso alla carriera militare, con 15 arresti tra cui spiccano quelli di un generale dell'esercito, di un colonnello, di un sindacalista e di un ingegnere informatico.

Insomma, bella gente coinvolta: laureati, professionisti, rappresentanti dello Stato, che ci dimostrano ancora una volta che né il titolo di studio né l'appartenenza ad ambienti sociali non caratterizzati dal bisogno materiale sono di per sé un impedimento alla disonestà. Anzi, il sempre maggiore coinvolgimento in reati economici di persone di status sociale medio-alto ci permette di verificare quanto le teorie di Eduard Sutherland sui cosiddetti colletti bianchi siano di grandissima attualità. Lo studioso statunitense era critico nei confronti della criminologia tradizionale che si muoveva sulla base di un radicato pregiudizio secondo il quale il crimine interessava solo persone economicamente svantaggiate o in stato di disagio sociale, mentre si trascuravano tutti i reati commessi da persone che non erano spinti né dalla povertà né dalla emarginazione sociale.

Ma è del tutto evidente che ci sono delinquenti sia tra chi è spinto dal bisogno materiale e sia tra chi è invece spinto dall'ansia del successo e del potere. Infatti, esiste una deprivazione assoluta e una deprivazione relativa, intendendo con questo ultimo termine la mancanza di qualcosa di non essenziale ai fini della sopravvivenza quotidiana ma ritenuta come indispensabile da chi è poi spinto a delinquere pur di ottenerla.

Certo, non tutti quelli che puntano al successo delinquono, ma neanche tutti i marginali sono delinquenti. La criminalità, in ogni caso, non alberga solo nei bassifondi della società. In linea di massima i comportamenti criminali vengono in gran parte appresi in contesti nei quali violare la legge non comporta eccessive conseguenze sociali (cioè non si perde la considerazione dell'ambiente circostante) o eccessivi scrupoli. E questi contesti disponibili ad aggirare la legge si trovano sia nei vicoli napoletani sia nei quartieri che ospitano i più accorsati professionisti. Sosteneva Teodoro Roosevelt che «un uomo che non è mai andato a scuola può rubare da un carro merci; ma se ha un'istruzione universitaria, potrebbe  rubare l'intera ferrovia».

Fare di Napoli, però, la capitale della corruzione e degli imbrogli non corrisponde al vero né alla recente storia italiana. E non è giusto farlo. Certo, impressiona la consistenza e la diffusione di massa di queste pratiche illegali, ma da tempo nessuna grande città italiana può autodefinirsi capitale morale della nazione. Non lo può fare più Milano, né tantomeno Torino e men che mai Roma. E non bisogna tornare indietro di decenni, ai tempi di Tangentopoli, per avere conferma di questa valutazione. Solo pochi mesi fa Roma è stata interessata dallo scandalo per la costruzione del nuovo stadio che ha coinvolto vasti ambienti politici, imprenditoriali e burocratici, e ancora prima diversi episodi di corruzione avevano segnalato quanto fosse strutturale il rapporto malato tra imprenditori, macchina amministrazione comunale ed esponenti politici. Al punto tale che a Roma la più grande delle riforme continua ad essere la ricostruzione di una moralità pubblica, per dirla con le parole di Stefano Rodotà.

A Milano nel corso del ventennio successivo a Tangentopoli si sono riformate alcune di quelle cordate politico-imprenditoriali che sembravano essere state spezzate dall'azione giudiziaria, con un elevato contributo criminogeno venuto dal sistema sanitario regionale. 

A Napoli, invece, nel corso degli ultimi anni non si sono verificati casi di corruzione che abbiano coinvolto il livello amministrativo locale. Ciò non vuol dire che non possano verificarsi o che non si siano verificati anche in assenza di una azione giudiziaria. La corruzione è come un fiume che non scorre in un suo alveo delimitato ma si incunea nel terreno disponibile a farsi permeare e allagare, per cui a volte il cambio di amministrazione può suggerire di sondare altri luoghi in cui provare a scorrere. È successo recentemente a Milano dove un assessore di Sala ha rifiutato una tangente che gli veniva offerta da un costruttore, mentre decenni prima un rifiuto del genere sarebbe stato incredibile. Così come a Roma è oggi difficile immaginare che la Raggi abbia gli stessi comportamenti avuti dal mondo politico che l'ha preceduta, anche se non sempre è stata attenta alla scelta dei collaboratori. Il che non vuol dire che la corruzione non ci sia più al comune di Milano o che non ci sarà più al comune di Roma; vuol dire solo che si sposta da luogo a luogo a seconda della necessità di reagire alla repressione della magistratura e a seconda delle opportunità che si presentano in altri luoghi dove si intrecciano politica, economia e affari.

Ma c'è un qualcosa che però differenzia Napoli dal resto d'Italia anche nella corruzione. È il fatto che i colletti bianchi svolgono le loro azioni delinquenziali supportando ceti e ambienti sociali che ruotano attorno all'imbroglio legato alla sopravvivenza o alle opportunità che apre l'economia dell'illecito. Colpisce negli episodi napoletani di corruzione e di truffa la presenza di decine e decine di testimoni falsi che si accontentano di 100 euro per la loro collaborazione; colpisce il fatto che un gran numero di avvocati non potrebbe sbarcare il lunario senza ricorrere all'economia del raggiro; colpisce il fatto che si torna a pagare per un posto di lavoro. Con la corruzione, con l'imbroglio e la truffa circolano risorse, soldi e posti di lavoro da cui dipendono la vita quotidiana di svariate persone e il successo professionale che altrimenti non arriverebbe dal circuito legale. Insomma si può parlare a Napoli più che altrove di vero e proprio keinesismo delinquenziale (per usare un'espressione di Marcello De Cecco), cioè una distribuzione di opportunità derivante dall'utilizzo di risorse pubbliche attraverso l'aggiramento della legge. 

A Napoli una parte dei colletti bianchi sta in relazioni con gli strati sottoproletari dei quartieri, senza disdegnare altri ambienti sociali più elevati e ancora più criminali. Ma questo modo di agire, proprio nel mentre si giustifica come offerta illegale a una forte domanda sociale di imbroglio e di corruzione, ottiene un effetto economico disastroso, come ad esempio l'aumento delle polizze assicurative per gli onesti. Non c'è nessun'altra realtà nel mondo occidentale in cui gli onesti pagano un prezzo così alto alla disonestà di una minoranza che pensa di essere legittimata nel suo operato solo perché fa girare il denaro e offre opportunità nei circuiti illegali.
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