A Napoli 2.500 clochard: «Sono disperati e violenti»

Molti sono stranieri con dipendenze che li rendono privi di controllo

Vigile aggredito da un clochard al Duomo: i rilievi della Scientifica
Vigile aggredito da un clochard al Duomo: i rilievi della Scientifica
Paolo Barbutodi Paolo Barbuto
Giovedì 25 Maggio 2023, 00:00 - Ultimo agg. 26 Maggio, 07:11
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L’aggressione del clochard al luogotenente dei vigili di martedì mattina era un evento annunciato: l’hanno chiarito in tanti nelle ore di tensione seguite alla drammatica vicenda. Aggressioni, violenze e sopraffazioni, nel mondo oscuro degli homeless di Napoli, sono all’ordine del giorno: quando si verificano fra di loro non raggiungono gli onori della cronaca, esplodono solo quando a farne le spese è il resto della città.

Attorno al mondo degli homeless di Napoli si muove un articolato sistema di sostegno, cura, attenzione: è fatto di associazioni piccole e grandi, di volontari che ogni notte vanno a cercare i disperati con la speranza di poter offrire un aiuto.

La visione “romantica” della persona che vive in strada come scelta di vita, appartiene al passato. Chi oggi si ritrova senza un tetto sulla testa non lo fa mai per scelta, si tratta generalmente di disagiati con problemi di dipendenze o, peggio ancora, con disturbi psichici, quasi tutti stranieri che hanno rincorso il sogno dell’Italia e si sono ritrovati in un incubo. A questa popolazione di disperati - 2500 solo a Napoli - si aggiunge, con frequenza sempre maggiore, anche una larga fetta di nuovi poveri, italiani, napoletani, che hanno perso tutto all’improvviso e si ritrovano senza più una casa e senza speranze.

Quando parli con un qualunque volontario che si occupa di homeless, la prima richiesta che t’arriva è quella di operare una distinzione fra le persone che sono piombate nella povertà e quelle che hanno problemi sanitari o di dipendenze: «L’altro giorno siamo riusciti a trovare una sistemazione a una famiglia colombiana, mamma, papà e due figli, che non sapeva dove trovare rifugio. Sono persone meravigliose», Benedetta Ferone racconta questa, e cento altre storie, con un trasporto che ne tradisce la dolcezza e la forza d’animo. Benedetta è la responsabile delle unità di strada della Comunità di Sant’Egidio, conosce ogni angolo del mondo oscuro degli homeless, trova le parole per levigare ogni angolo di tensione: «Le persone con dipendenza vanno aiutate a trovare un percorso giusto per uscire dal tunnel, quelle con problemi psichici vanno curate in strutture adeguate», vorrebbe dire che non c’è il male in quel mondo. Si spinge solo a spiegare che «ovviamente anche tra i clochard ci sono i delinquenti, ma di quelli devono occuparsi le autorità, noi non possiamo fare nulla». 

 

«Certe volte prendono i piatti con il cibo che gli offriamo e ce li tirano in faccia. Noi non reagiamo, andiamo via senza voltarci, senza rispondere ai tentativi di rissa», Roberto Clemente racconta l’attività della Missione Canaan, casa di preghiera di matrice Evangelica. Piccola realtà, lontana dal “gigante” Sant’Egidio eppure animata dalla stessa voglia di portare aiuto e conforto. Anche Benedetta Ferone racconta la stessa modalità di comportamento: «Di fronte alle persone più ostili abbiamo una regola: voltarsi e andare via senza cercare mediazione». 

Roberto Clemente e la moglie Enza, assieme a un piccolo gruppo di persone, escono il lunedì e il venerdì notte. Preparano un pasto caldo, si avvicinano a chi potrebbe avere bisogno di cibo e parole gentili: «Fino a un anno fa preparavamo 50, 60 pasti. Adesso non ce ne bastano cento. La povertà aggredisce tanti, incontriamo storie e persone che non hanno più nulla. Non scrivere che gli homeless sono un pericolo perché non è vero. Sono pochi i violenti».

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Vanno a radunarsi nelle strade più frequentate perché sperano in un po’ d’elemosina e immaginano che i pericoli diminuiscano quando c’è più passaggio. Così finiscono inevitabilmente nei luoghi turistici: «La soluzione non è il semplice spostamento di queste persone - spiega Benedetta Ferone - bisogna trovare alternative, alloggi, soluzioni. Occorrono tempo, finanziamenti, buona volontà, impegno da parte di tutti, dalle istituzioni locali a quelle nazionali, dal mondo dell’associazionismo alla Prefettura, alla Questura, al Comune».

Le buone intenzioni sono tante, le difficoltà di più. Su un punto il mondo dell’assistenza ai clochard concorda: il concentramento più invivibile è quello degli stranieri davanti all’ex mercato ittico. Lì non può avvicinarsi nessuno. Lì fa paura anche a quelli che non hanno paura del mondo dei disperati.

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