Napoli, la faida di Ponticelli: killer in discoteca a Coroglio, una finta rissa per uccidere l'affiliato

Una donna sventò l'agguato, l'uomo nel mirino si vendicò ammazzando un boss: morto anche un operaio innocente

Ragazzi in discoteca
Ragazzi in discoteca
di Leandro Del Gaudio
Lunedì 8 Maggio 2023, 23:01 - Ultimo agg. 10 Maggio, 07:21
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Una finta rissa in discoteca in uno dei locali più accorsati della movida napoletana. Un pretesto banale, poi la lite in pista, con la 38 special che sbuca all’improvviso, sotto gli occhi di centinaia di ragazzi, tanto per chiudere i conti con un amico diventato all’improvviso scomodo. Un omicidio di camorra camuffato da litigio, in un club di Coroglio, nel pieno del sabato notte. Era questo il piano ordito dai clan di Ponticelli contro un loro affiliato, diventato all’improvviso scomodo, inaffidabile, perché custode di segreti e retroscena legati a un omicidio eccellente della faida che insanguina la periferia orientale (che appena pochi giorni fa si è manifestata durante i festeggiamenti per lo scudetto, con l’omicidio del 26enne Vincenzo Costanzo). 

Una trappola organizzata nei particolari, che salta grazie all’intervento di una ragazza, mandata in discoteca per avvertire la vittima: «Scappa - gli avrebbe detto - è tutto pronto, vogliono ucciderti, vogliono farti fuori, c’è un uomo armato, è uno dei Quartieri spagnoli che sta qui per ammazzarti». Una trama che viene ricostruita dalla vittima designata di questa storia: è un ex esponente della camorra dei Quartieri spagnoli, che decide di pentirsi quando scampa all’agguato. A parlare con i pm è il killer pentito Antonio Pipolo, classe 1994, vicino al clan Di Micco di Ponticelli, responsabile lo scorso 22 luglio del duplice omicidio di Carlo Esposito, 29enne ritenuto emergente del cartello che unisce i De Martino e i De Micco; ma anche l’incolpevole Antimo Imperatore, 55enne operaio che quella mattina era impegnato nei lavori di allestimento di una veranda in casa di Esposito. Restiamo per un attimo al duplice omicidio consumato. Siamo all’interno del rione Fiat di Ponticelli, quando Pipolo entra in casa del boss emergente e lo uccide. Ha capito che la trappola della discoteca era stata di Esposito e aveva deciso di passare al contrattacco. 

Ma prima di andare avanti nel racconto, conviene fermarsi sulla figura di Imperatore, l’operaio ucciso senza un motivo, parliamo di un uomo estraneo alle dinamiche criminali, ammazzato nel pieno di un’azione kamikaze messa a segno da Pipolo. Oggi i parenti dell’operaio, difesi dal penalista Alessandro Motta, sono costituiti parte civile. Agli atti del processo, il racconto reso da Pipolo, killer reo confesso, al pm anticamorra Antonella Fratello: «Entrai in casa di Esposito, la porta era aperta perché stavano costruendo una veranda.

Esposito rivolse lo sguardo all’altezza del mio inguine, perché temeva che fossi armato. Io gli chiesi un caffè, aspettai che si girasse e lo uccisi. Per guadagnare la via di uscita passai davanti all’operaio, che mise la sua mano all’altezza della vita, mi impressionai e gli sparai. Lo uccisi senza un motivo. Poi scappai a casa di mia nonna. Quell’uomo, parlo dell’operaio, non c’entrava niente. Ma io ero imbottito di cocaina». 

Ma torniamo in discoteca. È ancora Pipolo a svelare il retroscena: «Quel sabato mattina ci fu un summit tra i Mazzarella, i De Martino, i De Micco e i De Luca Bossa. Decisero di ammazzarmi, perché sapevano che avevo preso parte all’omicidio di Carmine D’Onofrio e temevano che potessi pentirmi una volta finito in cella. Solo che a quel summit partecipò anche il mio angelo custode, che si chiama Aldo Sartori, che decise di aiutarmi. Mi mandó una ragazza per dirmi che uno dei Quartieri spagnoli mi avrebbe ammazzato lì, all’interno del club, simulando un litigio banale». Ed è a questo punto che il killer pentito rivela altri due particolari di quella notte in discoteca: «Ricordo che dopo la soffiata della ragazza, si avvicinò a me un personaggio dei Quartieri spagnoli, credo si chiamasse Dylan ed era legato ai Di Biase. Mi mostrò una pistola e mi chiese di dargli un passaggio, ma ovviamente mi rifiutai. Quella pistola che impugnava era molto simile alla 38 che avevo portato a Carlo Esposito pochi giorni prima. Avevano anche provveduto a bloccare la mia auto, per impedirmi di fuggire, fu solo per miracolo che si liberò un corridoio nel parcheggio per consentirmi di scappare». 

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A partire da questo momento, Pipolo comprende che c’è poco da fare. Recupera un’arma, si fa accompagnare da una donna nel rione Fiat, rimanendo sdraiato sul sedile posteriore dell’auto, per poi consumare la vendetta: l’omicidio di Carlo Esposito, ma anche di un operaio colpito a morte mentre riparava una veranda, ovviamente estraneo a faide dentro e fuori la movida.  

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