Intubati d’urgenza, di corsa, in pronto soccorso, dai medici di turno che li hanno accolti dopo lo sbarco dai mezzi del 118 arrivati a sirene spiegate. Stabilizzati con l’aiuto dell’anestesista di guardia e rimasti poi ricoverati in osservazione senza poter essere trasferiti in reparto, in quanto la rianimazione era piena e non c’era posto. Turno infernale l’altra notte al Cardarelli: grande affollamento nella prima linea non Covid del più grande ospedale del Mezzogiorno. Prima il 27enne bersaglio di una sparatoria a Casoria colpito al collo e al torace, poi un uomo rimasto coinvolto in un gravissimo incidente stradale: codici rossi, storie parallele, destini diversi ma sempre pazienti in immediato pericolo di vita che arrivano a ripetizione. Un terzo caso, trasferito in emodinamica, ha riguardato un infarto devastante preso per i capelli dopo aver trascorso almeno dodici ore a casa, ritardando di chiamare i soccorsi per paura del contagio dopo aver avvertito il tipico dolore retrosternale accusato da chi viene colpito da un insulto cardiaco acuto.
Intanto al Cardarelli il reparto Obi (Osservazione breve intensiva) è pieno: oltre settanta malati sistemati tra la grande stanza posta a valle del triage e il reparto spostato al primo piano del padiglione Dea per fare posto, al piano terra, (nel vecchio reparto), all’area di attesa dedicata ai pazienti Covid. Quest’ultima, per la migliore organizzazione sperimentata in questa terza ondata dell’emergenza coronavirus, sta funzionando meglio: percorsi, isolamento, rapide diagnosi, tempestivi trasferimenti nelle aree di isolamento dell’ospedale e in altri Covid center della città stanno assicurando ai malati di infezione da Sars-Cov-2 una migliore funzionalità di tutte le routine di cura. Per i malati ordinari, invece - tutti casi gravi quelli che arrivano in ospedale al Cardarelli, i posti sono ridotti sia nei reparti sia in area critica. Molti pazienti stazionano per giorni in pronto soccorso. Ci sono neoplastici e cronici che arrivano con patologie totalmente trascurate.
I due più grandi ospedali della città, i più attrezzati, quelli con i reparti di emergenza più funzionali e collaudati oggi pagano il prezzo maggiore di una pandemia che ha disarticolato la rete dei pronto soccorso in città e assorbito alle sole funzioni Covid presidi come Loreto e il San Giovanni Bosco. Altre strutture di primo livello come il San Paolo, il Pellegrini, il Cto, Betania e Fatebenefratelli restano a fare da baluardo con pochi posti disponibili, non completi per tutte le discipline e spesso interdetti, soprattutto di notte, per sanificazioni. In questo scenario si inserisce la necessità, sempre più impellente, di aprire alla città un pronto soccorso al Policlinico Federico II. Nell’ultimo webinar che ha messo a confronto la scuola di medicina guidata da Maria Triassi con i manager di Cardarelli, Azienda dei Colli, Santobono e lo stesso policlinico, il consenso al progetto è stato unanime. L’Anaao, principale sindacato della dirigenza medica, ha posto l’accento sulla rapida operatività per passare dalle parole e dalle buone intenzioni ai fatti. Non basta - spiegano - il progetto elaborato in tutti i dettagli, non è sufficiente il sì di studenti, specializzandi e docenti e nemmeno la disponibilità dei fondi (9 milioni di euro) se tutto questo non si traduce in volontà politica di svoltare sulla annosa questione del policlinico di Napoli privo di un’area di emergenza. In queste ore il progetto delle ristrutturazioni da programmare viene trasmesso in Regione, nessuno sa se il pronto soccorso rientra tra le priorità dell’azienda.