Riello: «Napoli priorità nazionale, bisogna disarmare i clan»

Riello: «Napoli priorità nazionale, bisogna disarmare i clan»
di Leandro Del Gaudio
Martedì 28 Settembre 2021, 09:25 - Ultimo agg. 29 Settembre, 07:12
5 Minuti di Lettura

Disarmare Napoli, bonificare i suoi quartieri più degradati, agire con un doppio approccio: «Ripristinare la deterrenza della pena, anche nel processo minorile; insistere sulla formazione, sulla trasmissione di valori positivi, grazie a investimenti sul piano della cultura e dell'educazione, al di là del meritorio sforzo delle forze dell'ordine e della magistratura».

Ne è convinto il procuratore generale Luigi Riello, la più alta carica requirente del distretto di corte di appello, nei giorni in cui la città si mette in moto per scegliere la nuova classe dirigente nel periodo - si spera - della ricostruzione post covid. Si parte da un tema lanciato sulle pagine di questo giornale, all'inizio del suo mandato dal prefetto uscente Marco Valentini, a proposito della circolazione di armi a Napoli (emergenza confermata dalla relazione semestrale della Dia guidata direttore Maurizio Vallone).

Procuratore generale Luigi Riello, troppe armi a Napoli, al netto degli oltre quattrocento sequestri messi a segno in un anno dalle forze dell'ordine. Che ne pensa?
«Penso che abbia ragione il prefetto Marco Valentini, che ha lanciato con forza il problema del mercato delle armi a Napoli, che è un mercato molto fiorente, che mantiene solidi contatti con l'Iran o le regioni balcaniche.

Purtroppo procurarsi un'arma a Napoli è diventato facilissimo ed è una realtà su cui bisogna intervenire con severità. Napoli va disarmata».

Su questo punto, lei ha fatto di recente riferimento al concetto di vittima per caso.
«Anni fa ricordo che un ragazzo di 18 anni, estraneo alle dinamiche criminali, appena scampato a un agguato ordito dalla camorra, disse che vivere a Napoli era diventata una roulette russa. Una frase raccapricciante, che purtroppo è ancora attuale. Persone, passanti, spesso donne o bambini, attinti da colpi di arma da fuoco, finiti al centro di regolamenti di conti o scorrerie armate (le cosiddette stese, ndr), che purtroppo confermano la pericolosità del fenomeno armi a Napoli e la tristezza del primato cittadino in questa materia».

Lo scorso giugno, due artigiani sono stati gravemente feriti ai Quartieri spagnoli, vicenda che vede agli arresti quattro indagati, tra cui un minorenne. Come si fa ad interrompere la roulette russa di chi vive a Napoli?
«Lo sforzo messo in campo da magistratura e forze dell'ordine è enorme, come dimostra il fatto che questi episodi nel giro di poche settimane vengono ricostruiti dagli inquirenti. Resta la sensazione che sia necessario fare di più, che qualcosa non vada per il verso giusto, che sia necessario agire, sia in termini di repressione, sia di prevenzione».

A cosa si riferisce?
«Partiamo dall'effettività della pena, dal suo rigore anche in termini di deterrenza, specie nei confronti delle giovani generazioni. Non sogno carceri meramente afflittive e non mi appartiene il facile richiamo al buttare via le chiavi. Sogno carceri in grado di rispettare la dignità dei detenuti e dello stato di diritto in cui viviamo, ma auspico anche lo stop dei benefici all'ingrosso, disancorati da un effettivo ravvedimento o collegati esclusivamente al principio della regolare condotta».

Ma come è possibile che nonostante la macchina dei processi penali sia così rodata, girino tante armi a Napoli?
«Oggi siamo molto concentrati sulla macchina repressiva relativa ai gravi reati di mafia, mentre i cosiddetti reati spia vengono puniti con pene poco dissuasive. Invece, per essere più chiaro, chi viene trovato con le armi (specie se da guerra) deve rimanere per molto tempo in cella; dico lo stesso per il traffico di documenti falsi che è quasi sempre da ricondurre alla camorra».

Un fenomeno che vede sempre più spesso vittime e protagonisti i minori.
«Direi che i minori che entrano nei circuiti criminali siano soprattutto vittime, in quanto incamminati su percorsi di devianza dall'ignoranza, dal sottosviluppo, dalla conseguente incapacità di percepire davvero il discrime tra lecito e illecito. Per la mia formazione culturale, chi impugna un'arma o consuma delitti in giovanissima età va considerato una vittima. Ed è per questo che bisogna intervenire, anche ripristinando la severità della pena».

A cosa si riferisce?
«Penso al processo penale minorile. Ho un enorme rispetto per il lavoro che stanno svolgendo la mia collega Gemma Tuccillo, ai vertici del dipartimento minorile, il procuratore Maria De Luzemberger e il presidente del Tribunale Patrizia Esposito, ma nutro anche la convinzione che qualcosa debba cambiare sul piano normativo: possibile che l'arresto di un minore sia sempre facoltativo, anche di fronte a reati gravi? Possibile che nel processo minorile la parte offesa non possa costituirsi parte civile? Credo che a questo punto qualcosa debba cambiare. Stesso discorso va fatto per quanto riguarda la messa alla prova: anche di fronte a un delitto gravissimo, come la commissione di una strage o di un omicidio, un minore ha in linea teorica la possibilità di ottenere la messa alla prova, vedendosi estinguere lo stesso reato. Anche quanto al collocamento in comunità, oggi previsto come misura cautelare, solo per reati puniti con reclusione non inferiore a cinque anni, sarebbe, credo, il caso di un giro di vite, nell'interesse dello stesso minore».

Poi esiste un problema di discrezionalità, forse sarebbe opportuno un approccio più severo e meno votato all'abbattimento di numeri e fascicoli, non trova?
«Un minore impunito diventa preda o strumento del crimine. Occorre evitare la dispensa generosa di perdoni giudiziali, prevedere, anche per reati non gravissimi, l'affidamento obbligatorio a comunità organizzate sul modello di quelle di recupero per tossicodipendenti per riconquistare il senso del dovere e del sacrificio. È anche necessario, nel caso in cui i genitori iniziano i figli al crimine, sospendere la potestà parentale».

Poi quali altri interventi?
«Napoli deve diventare una priorità nazionale. Ce la possiamo fare, ma solo se finiamo al centro dell'agenda politica nazionale. Più scuola, più formazione, in grado di trasmettere valori positivi e di aiutare - con il lavoro - le famiglie meno abbienti, offrendo loro un ponte verso il riscatto. Disarmiamo Napoli, creiamo armi concrete per favorire la cultura contro il crimine. Lotta alla dispersione scolastica, sostegno alle famiglie meno abbienti, offrendo loro un ponte verso il riscatto. Disarmiamo Napoli, diffondiamo la cultura come vero antidoto al crimine».

© RIPRODUZIONE RISERVATA