«Napoli è una carta sporca, non serve nasconderlo»

«Napoli è una carta sporca, non serve nasconderlo»
di Antonio Menna
Domenica 8 Settembre 2019, 09:06 - Ultimo agg. 09:09
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Se racconti un problema diventi tu il problema. C'è una strana maledizione a Napoli, e colpisce chi si ostina a guardare. Non importa che quello che si racconta sia documentato e oggettivo: c'è la colpa di dirlo. Mostri foto dello sfregio: strade dissestate, giardini abbandonati, monumenti dimenticati. Ma sbagli. Bisogna voltare lo sguardo verso il panorama, ignorare degrado, disservizi, scempi, essere generosi e comprensivi verso l'inevitabile e dire il buono, il bello, il simpatico. Così si ama Napoli, parlandone bene. E chi racconta i problemi, vuole male alla città. Ma è proprio vero? «Io ai miei studenti dice Antonio Pescapè, docente di Ingegneria informatica alla Federico II e direttore della Digital Academy spiego sempre che prima del problem solving c'è il problem setting. Siamo sempre tutti tesi a cercare soluzioni. Ma non ci sono soluzioni se non analizziamo e capiamo il problema. È una colossale sciocchezza, quella di non voler parlare dei problemi. La denuncia civile è atto di cittadinanza attiva. Occultare i problemi e parlare della bellezza serve invece alla propaganda».

 

I PROBLEMI
«Non è certo tacendo che il degrado sparisce», aggiunge il costituzionalista napoletano Marco Plutino, docente all'Università di Cassino. «Se la preoccupazione è che parlare dei problemi allontani i turisti, tranquillizziamoci. Il turismo arriva in ogni caso, per la presenza di beni culturali e ambientali unici e di fattori internazionali rispetto ai quali la città è totalmente estranea. Si viene a Napoli per i voli low-cost, per la cucina e in particolare lo street food, la vasta ricettività e così via». Si viene nonostante i problemi, e si va via comunque incantati. Perché le questioni aperte sono ferite sul corpo di chi ci vive tutti i giorni, non di chi contempla e magari si diverte anche col piccolo inciampo. Pane, amore e fantasia: al turista piace anche la strada rotta, la fotografa. Tanto mica ci rompe la sua auto. «Criticare, ma soprattutto assimilare le critiche, è ciò che serve per poter capire su cosa lavorare». Lo dice Luca Carbonelli, giovane imprenditore del caffè, che ha appena dato alle stampe un libro dal titolo «Falla esplodere. Come una piccola impresa può affrontare la trasformazione digitale», e mostra un certo ottimismo verso la capacità di autocritica della città. «I napoletani dice - hanno preso coscienza che devono essere anch'essi protagonisti del cambiamento e che non serve a nulla solo lamentarsi».
LE SOLUZIONI
Raccontare i problemi sì, lamentarsi no, cucire insieme soluzioni. Ma dove sono? Qui compare la seconda maledizione: degrado e disservizi non sono mai colpa di nessuno e nessuno sa come se ne esce. Mancano i soldi, si fa quel che si può, ci vuole pazienza, siamo a Napoli, questo possiamo fare. Quel che si può è sempre poco. Aleggia una cupa rassegnazione: non possiamo andare oltre, accontentiamoci. Ma perché? «Gli amministratori dicono di disporre di poche risorse riflette il professor Plutino -, ed è senz'altro vero, ma quelle poche di cui dispongono vengono usate male. Se il sindaco della terza città d'Italia fosse stato capace, poi, di protagonismo sull'attuazione, distorta, del federalismo, ora forse disporrebbe di decine di milioni di euro in più per settori strategici per la qualità della vita. Che fare? Credo poco in leggi speciali. Credo molto in leggi che pur lasciando al circuito della responsabilità politica di valutare l'operato di un'amministrazione, sanzionino giuridicamente chi, invece, scassa il bilancio. Occorre una classe dirigente all'altezza». «Io, invece, credo che le soluzioni per Napoli debbano essere drastiche e ampie dice Alberto Corbino, presidente della Fondazione Cariello, impegnata nel Congo in progetto solidali soprattutto per i minori -. Combattere la dispersione scolastica, promuovere campagne di educazione civica. E al tempo stesso inasprire sanzioni per le violazioni di legge, aumentare il controllo del territorio. I disservizi e il degrado sono anche conseguenza di una questione culturale, sia in chi amministra sia nel cittadino. Bisogna rimotivare tutti, a cominciare dai lavoratori del pubblico impiego. E poi se non ci sono soldi vanno cercate intese con il privato. Napoli è una città spendibile, se si ha voglia e capacità di fare».
LO SPECCHIO
«La parola chiave insiste Antonio Pescapé è progettazione. È quello che a Napoli manca più di tutto. Anche il turismo, tanto sbandierato, diciamoci una verità scomoda: è un fenomeno mordi e fuggi, che crea più impatto di quanti vantaggi determini. Turismo da pranzo a dieci euro. Turismo da museo gratuito. Non c'è un investimento vero sulla risorsa Napoli, e tutto viene giù a cascata. Siamo una città isolata politicamente ed economicamente. Se non ci sono risorse economiche, e il respiro è corto, è perché mancano capacità di progettazione e visione strategica». «Non so di preciso cosa occorra fare dice Luca Carbonelli -, e non credo che si possano riportare i modelli delle altre città su Napoli. La nostra realtà è molto più complessa di quella delle altre città e anche delle altre metropoli di questo paese. Occorre semplicemente analizzare in maniera oggettiva Napoli, sapendo che si parte da difficoltà più grosse, iniziare a individuare due o tre urgenze su cui lavorare e spendere energie e risorse affinché le cose possano migliorare gradualmente. Sono anni che la città migliora ma senza un piano specifico dell'amministrazione; sembra quasi che avendo toccato il fondo ora, per inerzia, non possiamo che migliorare. Occorre guardarsi allo specchio e costruire un piano per Napoli». Ma lo specchio è sincero. Restituisce pregi e difetti. Non va bene per chi i difetti non li vuole guardare, pensando che se non li guardi, e non li racconti, non ci sono.
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