Ginecologo napoletano morto a Milano, scontro sull'archiviazione: «Lo hanno ucciso»

Per la Procura il professionista si è tolto la vita, ma gli avvocati fanno opposizione

Stefano Ansaldi, il ginecologo trovato morto a Milano
Stefano Ansaldi, il ginecologo trovato morto a Milano
di Leandro Del Gaudio
Sabato 25 Febbraio 2023, 23:56 - Ultimo agg. 27 Febbraio, 07:04
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Nessuno ha spiegato perché abbia percorso più volte lo stesso isolato, andando avanti e indietro. E che ci facesse su quel marciapiedi, in una fredda giornata di pioggia invernale: aspettava qualcuno? E perché nessuno ha indagato in questa direzione? Ma non è l’unico nodo, ce ne sono altri che andrebbero sciolti: come mai quell’uomo non aveva il portafogli? Per non parlare poi dei bonifici all’estero, dei rapporti con un magnate arabo, fino a quella ferita alla gola che presentava tre tagli sovrapposti in modo incerto. Eccoli i punti che spingono i legali del ginecologo Stefano Ansaldi a firmare un’opposizione formale alla richiesta di archiviazione inoltrata al giudice dalla Procura di Milano. Facciamo un passo indietro, in modo da avere le idee chiare su una sorta di giallo metropolitano, quello legato alla morte di Ansaldi, il ginecologo di origini beneventane (ma attivo da tempo a Napoli) trovato morto nel capoluogo lombardo il 19 dicembre del 2020.

Due anni di indagine, poi i pm milanesi firmano una richiesta di archiviazione del fascicolo per omicidio aperto contro ignoti. In sintesi, per la Procura milanese non ci sarebbero dubbi: Ansaldi si è suicidato. Si è tolto la vita perché (forse) tormentato da iniziative economiche fallimentari. Una convinzione nata da una serie di considerazioni: i due testimoni - una coppia di fidanzati, che hanno assistito agli ultimi momenti di vita di Ansaldi, in via Macchi -, sostengono di non aver incrociato alcuna altra persona nei pressi del cadavere. Grazie al pedinamento virtuale (con telecamere intelligenti), non sono emerse figure sospette che potrebbero aver ricoperto il tragitto effettuato dal ginecologo. Tramite intercettazioni, inoltre, la Procura di Milano ha percepito che - dopo la morte di Ansaldi - alcuni suoi stretti congiunti avevano fatto riferimento alla condizione di prostrazione mentale in cui si era venuto a trovare. Ma si tratta di conclusioni che non soddisfano la famiglia di Ansaldi, come emerge dalla opposizione alla richiesta di archiviazione firmata dall’avvocato napoletano Luigi Sena e dal collega Francesco Cangiano. I legali puntano l’indice su una serie di passaggi a loro avviso critici del lavoro fatto dai pm di Milano. Si parte dall’arma che ha arrecato la morte di Ansaldi e dal taglio inferto alla gola.

Un coltello da cucina di venti centimetri di cui si ignora l’origine. Che senso aveva? Perché un chirurgo non ha usato un bisturi invece di scannarsi in un modo tanto incerto e doloroso? Un punto che fa leva sulla consulenza del professor Ferdinando Panarese, docente universitario e specialista in medicina legale.

Chiaro il ragionamento difensivo: se fosse vera la tesi del suicidio, Ansaldi avrebbe dovuto compiere un gesto innaturale e illogico, partendo dalla gola (all’altezza del pomo di Adamo), per finire sotto la mandibola. Avrebbe dovuto «iperflettere il gomito in modo innaturale e disagevole, fino a risalire al limite del suo angolo possibile, in direzione dell’orecchio destro». Diversa invece la ricostruzione del docente Panarese: si è trattato di un omicidio; Ansaldi è stato aggredito alle spalle da un destrimane, come dimostrano anche i tre tagli iniziali, tipici di una dinamica confusa e dettata dal probabile tentativo di opporre una difesa da parte della vittima.

Ma torniamo a quel 19 dicembre del 2020. Siamo in piena emergenza di Covid, quando il medico si reca a Milano, dove ha un appuntamento con un uomo d’affari svizzero (che non arriverà mai). Spiega il consulente della difesa: «Si tratta, all’evidenza, di movimenti ai limiti del possibile, che qualificano come disagevole l’innaturale manovra di risalire con la lama del coltello verso l’alto e a destra in direzione dell’orecchio destro con un movimento ad arco di 90° molto scomodo che tende a superficializzarsi rispetto alla cute, ad “uscire”. Necessita perciò iperflettere un gomito già iperflesso al limite del suo angolo possibile e risalire con la spalla». Prosa medico-legale a parte, per ammazzarsi Ansaldi avrebbe potuto usare metodi più diretti e meno dolorosi.

Ma ci sono altri nodi, nel caso Ansaldi: il portafogli e il cellulare non sono stati trovati, gettati chissà dove e chissà da chi (dal medico suicida o dall’aggressore assassino?); sappiamo che si era sfilato il Rolex nel timore di essere rapinato (si sentiva seguito?), che è stato trovato accanto al corpo. Agli atti, spunta la testimonianza di Piero Ansaldi, fratello del medico: che fa riferimento a un grosso bonifico proveniente dal Portogallo, «che doveva arrivare sul conto di un avvocato», rimasto nell’ombra. Soldi che avrebbero posto fine ai problemi economici, dal momento che Ansaldi avrebbe effettuato operazioni di investimento per conto del gruppo arabo per il quale avrebbe incassato una provvigione. Poi ci sono i bonifici all’estero fatti dal ginecologo, che avrebbero generato segnalazioni di operazioni sospette da parte degli organi di controllo, in uno scenario economico che - insistono i legali - qualcuno avrebbe il dovere di verificare.
 

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