Napoli, il giudice Capuano resta in carcere: «Al servizio di interessi privati»

Napoli, il giudice Capuano resta in carcere: «Al servizio di interessi privati»
di Leandro Del Gaudio
Giovedì 5 Settembre 2019, 07:00
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Bollano come «sconcertanti» le vicende legate all'inchiesta a carico del giudice Alberto Capuano, in cella dallo scorso luglio per un'ipotesi di corruzione. In una sessantina di pagine, i giudici del Riesame di Roma confermano - nelle linee generali - le accuse dei pm romani su un presunto scambio di favori e utilità avvenuto all'ombra del Tribunale di Napoli. Motivazioni durissime che sottolineano la continua «disponibilità» offerta dal magistrato napoletano, nei confronti di soggetti tutt'altro che specchiati, nel raccogliere informazioni sui loro processi, ma anche nell'assicurare consigli sullo svolgimento delle inchieste a carico dei suoi interlocutori.
 
Un atteggiamento «sconcertante», anche alla luce del fatto che solo di recente Capuano era uscito da una precedente inchiesta penale con un'archiviazione, ricevendo però una sanzione disciplinare per contatti sospetti con soggetti finiti sotto inchiesta. Scrive il collegio (presidente Maria Agrimi, a latere Gabriele Tomei e Laura Previti): «Eppure, tali negativi eventi non hanno indotto l'indagato a respingere seccamente richieste di intermediazioni di varia natura». Anzi: «Capuano ha mostrato sempre piena disponibilità ed interesse e si è poi concretamente mosso ad assecondare tali richieste, addirittura mettendo lui in guardia i coindagati sui possibili rischi, suggerendo accorgimenti e cautele». Vicende «sconcertanti» per i magistrati romani, di fronte a quella trama di contatti che vede Capuano dialogare con il consigliere della municipalità di Bagnoli Antonio Di Dio, in relazione ad un processo giunto in appello a carico dell'imprenditore di Giugliano Liccardo; ma anche sempre interessato ad altri procedimenti a carico di altri imputati: «Quella di Capuano è una personalità ormai incoercibilmente piegata a sfruttare la funzione per ottenere dai privati (pur se del tutto sconosciuti o addirittura a lui noti per le pericolose vicinanze criminali) utilità e favori di varia natura». Difeso dai penalisti Alfonso Furgiuele e Maurizio Lojacono, Capuano ha sempre negato di aver provato a contattare colleghi di altri uffici per favorire soggetti pronti a garantirgli favori o benefici. Ha ammesso di aver peccato di superficialità nell'assecondare, solo da un punto di vista verbale, alcuni contatti, pur di scrollarsi di dosso le richieste di soggetti che conosceva. Ma entriamo nel merito del provvedimento dei giudici romani. In tutti i casi in cui viene coinvolto dai vari interlocutori, Capuano si mostra attento, prende appunti, si informa sullo stato dei rispettivi procedimenti. Mai prova a tagliare corto, sembrando propenso a fornire un contributo, anche se - nei fatti - non c'è un solo processo che possa dirsi realmente condizionato dall'ex gip di Napoli. Messa a disposizione, in alcuni casi, vanterie in altri casi.

È in questo scenario che il Riesame sottolinea l'importanza delle indagini più recenti del pm romano, che evidenziano la mancanza di fatture in una ditta privata, che aveva realizzato lavori nel centro estetico della moglie di Capuano, in cambio di «uno stabile asservimento del suo potere e della sua funzione». Poi c'è il capitolo vanterie, che finisce con l'investire un incolpevole assessore del comune di Napoli, che viene tirato in ballo nel corso di una conversazione intercettata dal cellulare di Capuano. In questo caso, il magistrato è a tavola con un imprenditore amico (quello del centro estetico), al quale confida di essersi adoperato in suo favore presso l'ex sindaco di Napoli Raffaele Del Giudice». Oggi assessore napoletano con delega all'Ambiente, Del Giudice è ovviamente estraneo a questa vicenda, dove - bene chiarirlo - non esiste alcun contatto concreto che lo riconduca a Capuano o alla sua cerchia di conoscenti. Al Mattino, l'assessore Del Giudice ribadisce il suo stupore per la vanteria di Capuano: «Non conosco questa vicenda, non so di cosa stessero parlando il giudice e il suo interlocutore. Sono allibito per questo riferimento alla mia funzione».
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