Napoli: Giulio Giaccio ucciso e sciolto nell'acido, il silenzio disperato della madre

La verità sulla fine del giovane è stata rivelata al fratello e alla sorella

Rosetta, la madre di Giulio Giaccio
Rosetta, la madre di Giulio Giaccio
di Leandro Del Gaudio
Giovedì 22 Dicembre 2022, 00:02 - Ultimo agg. 23 Dicembre, 07:21
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Il padre non ha fatto in tempo a scoprire il motivo della scomparsa del figlio; la madre (una donna di 84 anni) ieri si è chiusa nel suo silenzio. È toccato al fratello e alla sorella, ieri mattina ricevuti dai carabinieri, ascoltare la peggiore storia possibile: Giulio Giaccio è stato ucciso e non c’è nessuna traccia dei suoi resti mortali, perché il suo corpo è stato sciolto nell’acido, secondo una modalità tipicamente mafiosa che il clan Polverino aveva imparato direttamente da Cosa nostra.

È questa la verità giudiziaria legata a un caso di lupara bianca che venne consumato il 30 luglio del 2000, a Pianura: quello di un operaio onesto ed estraneo alla camorra, ucciso a 26 anni per un errore, per una svista da parte di uno dei complici di un boss di Marano. Venne sequestrato da finti poliziotti e ucciso al posto di un tale “Salvatore”, che doveva essere punito - nell’ottica distorta della camorra locale - perché aveva osato insidiare la sorella di un boss dei Polverino. 

Orrore puro emerso dalla misura cautelare firmata dal gip Linda Comella, al termine delle indagini condotte dai pm della Dda Mariella Di Mauro (oggi aggiunto a Napoli nord) e Giuseppe Visone, sotto il coordinamento della stessa procuratrice Rosa Volpe. Ordine di arresto a carico di Salvatore Cammarota (55 anni, che era il personaggio che aveva ordito la trama vendicativa) e del suo presunto socio Carlo Nappi (64 anni), rispettivamente detenuti a L’Aquila e a Livorno.

Decisivo il lavoro dei carabinieri del reparto operativo, che hanno fortemente creduto nella necessità di dare una risposta investigativa alla famiglia di un ragazzo ucciso per una svista di un branco di camorristi.

Ma andiamo con ordine a ricostruire la svolta dell’ormai ex cold case di Pianura: decisivo il ruolo di Roberto Perrone, ex uomo di fiducia del boss Giuseppe Polverino, che partecipò alla spedizione punitiva culminata nel sequestro e nell’omicidio di Giulio Giaccio. Accanto alla sua versione si sono aggiunte le accuse di altri due pentiti, vale a dire Giuseppe Simioli e Biagio Di Lanno. Tutti hanno confermato la storia dell’errore di persona. «Era un affare di famiglia», ha spiegato Perrone, a proposito della volontà di Cammarota di uccidere un tale “Salvatore” per le insidie alla sorella. Ma come andarono i fatti? Nappi e Cammarota vengono indicati come mandanti. Attendono la “filata” da parte di un loro affiliato (agli atti compare il nome di Publio Mazzi, che va ritenuto estraneo alle accuse in mancanza di riscontri), che indica la persona sbagliata, all’esterno di una chiesa in zona Contrada Romani a Pianura.

Parte la missione, Giulio viene “arrestato” da finti poliziotti. Prova a replicare con parole rimaste scolpite nella memoria del pentito Perrone: «Comandante, mi chiamo Giulio, non sono Salvatore, controllate pure che sono un operaio, i miei genitori lavorano, sono persone oneste». Una volta in auto, il dramma. Stando agli atti, l’unico che aveva il mandato di uccidere è un soggetto attualmente a piede libero (viene indicato Salvatore D’Alterio, ma sul suo nome i pentiti si contraddicono, rendendo al momento impossibile portare avanti le indagini), che impone al ragazzo il silenzio. Poi gli ordina di abbassare la testa sulle gambe, estrae la pistola e gli spara alla nuca. Sangue ovunque - dirà poi Perrone - ma la scena non è finita. Il corpo viene trasportato in un frutteto, tra Pianura, Quarto e i Camaldoli, dove ci sono altri componenti del clan, tra cui Nappi e Cammarota. Il corpo viene preso a calci. Spinto accanto ad un barile, tagliato in superficie.

Una scena orrenda, al punto tale che lo stesso Perrone subisce conati di vomito. Il corpo viene sciolto nell’acido, i denti spaccati e polverizzati con un martello. E non è finita. Lo scempio va avanti, dal momento che tutto finisce all’interno di una fessura del terreno (una “senga”), per evitare di lasciare ogni possibile traccia del giovane uomo ucciso. Una ricostruzione pulp nella quale spuntano anche altri nomi, come possibili componenti del commando di morte, nei confronti dei quali non sono stati trovati riscontri e su cui le indagini vanno comunque avanti. È il caso di Luigi De Cristoforo e Salvatore Simioli (quest’ultimo conosciuto come lo sciacallo), che avranno ovviamente modo di sostenere la propria estraneità ai fatti, nel corso di questo o di un altro filone investigativo. Resta il dramma di un ragazzo ucciso per errore e della volontà da parte dell’intero clan di cancellare la memoria dello “sbaglio” di Pianura.

Pochi giorni dopo il delitto, si attivò una sorta di controspionaggio, che spinse uno dei Polverino a chiedere informazioni sul racconto fatto dall’amico di Giulio Giaccio (teste oculare del finto sequestro) alla polizia. Una volta acquisita la certezza di una testimonianza priva di conseguenze, il caso Giaccio è rimasto vivo solo in seno a una famiglia che ieri ha ricevuto la conferma di un dato su tutti: Giulio fu ucciso per errore, non c’entrava con le logiche di morte della camorra.
 

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