A Napoli è guerra tra clan, quattro stese in sette giorni: ma nessuno denuncia

A Napoli è guerra tra clan, quattro stese in sette giorni: ma nessuno denuncia
di Leandro Del Gaudio
Venerdì 16 Luglio 2021, 23:01 - Ultimo agg. 17 Luglio, 18:14
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Quattro stese in sette giorni (due delle quali a distanza di poche ore, nello stesso pomeriggio), un uomo rimasto ferito (non si sa se per errore o perché era il target dell’agguato). Volume di fuoco paragonabile a uno scenario di guerra, un caso unico rispetto a qualsiasi altro punto del mondo occidentale. Guerra strisciante, poco nota, anzi, fin troppo silenziosa, al punto tale da rappresentare un caso anche per gli inquirenti anticamorra. A partire da un punto in particolare: quattro stese, quattro attentati contro cose, esercizi commerciali, panchine, aiuole, sotto gli occhi di decine di persone, nessuna denuncia. Zero segnalazioni. Neppure di quelle anonime, quelle che in genere si limitano alla telefonata ai centralini di forze di polizia con la classica voce masticata o impaurita, all’insegna del «correte, correte, che qua stanno sparando». Nessuna richiesta di intervento, nessuna segnalazione, zero denunce. Paura? Forse. Assuefazione? Molto più probabile. 


Assuefatti al crimine, rassegnati o indifferenti ai colpi di coda della camorra. Apatici rispetto a Gomorra, a leggere le pagine di informative di pg spedite in Procura.

Proviamo a ripercorrere i sei giorni di ordinaria violenza metropolitana, che hanno riguardato un’area abitata da decine di migliaia di cittadini, parliamo della zona a ridosso di Miano. Andiamo per ordine e per cronologia. Dieci giugno, ore 13, via Santa Maria a Cubito, ignoti in sella a uno scooter esplodono colpi di pistola contro bersagli imprecisati, senza arrecare danno alle persone. Nello stesso giorno, sempre il dieci giugno ma intorno alle 15, ancora violenza: una persona viene attinta da colpi di arma da fuoco; non denuncia, la vittima: per paura o per rassegnazione, non c’è alcuna richiesta di giustizia, per una vicenda sulla quale - è bene chiarirlo - procedono le indagini di ufficio da parte delle forze dell’ordine, sotto il coordinamento della Dda di Napoli. E andiamo avanti. 

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Sedici giugno, stesso copione, nei pressi di un bar in via Santa Maria a Cubito. Arrivano con lo scooter, sono appena in due, solita scena: bum bum e via. Otto o nove proiettili, tanto basta per lanciare un messaggio, per incutere timore, per fare terrore, per atteggiarsi a gomorroidi, per rimarcare con la puzza della polvere da sparo il controllo del territorio. Finita? Niente da fare. Diciassette giugno, ancora a Miano, ancora colpi di pistola al vento. Ricapitoliamo: in pochi giorni, quattro agguati, con un ferito bon grave, almeno una cinquantina di proiettili esplosi. Cosa accade a Napoli nord, a ridosso di Capodimonte? Nulla di nuovo. Stese. Agguati. Guerra di camorra a bassa intensità ma ad altissimo rischio per le persone. Vicende che vale la pena raccontare a partire da un dato: in quei sei sette giorni di giugno, nemmeno una denuncia è arrivata in Procura. Nessuno si sente offeso da quei colpi di pistola, nessuno si dichiara parte offesa. 

Eppure, proprio da quelle parti hanno consumato un omicidio che ha suscitato scalpore, anche in una città abituata a fare i conti con la violenza della camorra: omicidio di Antonio Avolio, Marianella ore 12. L’ex del clan Lo Russo ha da poco finito di mangiare una merendina, nella stessa strada in cui c’è uno sgombero di case occupate abusivamente, con tanto di schieramento di uomini e mezzi delle forze dell’ordine, ma i killer non si perdono d’animo. Sparano e ammazzano. Lì, nel traffico, davanti a decine di persone, forse anche a qualche bambino, tanti spettatori nessun testimone. Poche settimane prima uccisero un altro ex affiliato al clan Lo Russo, tale Salvatore Milano, colpito a morte poco dopo la sua scarcerazione. C’è un nuovo boss che lancia la sfida agli vecchi capitoni (così sono conosciuti quelli dei Lo Russo), in una guerra di posizione che appassiona sempre meno l’agenda della politica, che continua a rappresentare un problema soprattutto per gli uffici giudiziari. Tanta fatica per portare avanti processi, per chiudere istruttorie, per arginare le strategie di morte decise - come accade ormai da decenni - nel chiuso di una cella di un penitenziario. Una Gomorra che nessuno vede, che alimenta indifferenza e paura, nella speranza che non ci siano altre vittime estranee al circuito criminale. Quale è la posta in gioco? I lavori al cimitero locale? La droga o il racket sul pane? Materia buona per la commissione antimafia che, nei prossimi giorni, farà tappa qui a Napoli, per ascoltate inquirenti e approfondire lo strano caso degli agguati che la gente del posto scansa, ma fa finta di non vedere.
 

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