L'ingegnere Testa e l'algoritmo magico: ecco come i candidati superavano i test d'ingresso nell'Esercito

L'ingegnere Testa e l'algoritmo magico: ecco come i candidati superavano i test d'ingresso nell'Esercito
di Mary Liguori
Giovedì 18 Ottobre 2018, 18:00 - Ultimo agg. 19 Ottobre, 07:04
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Da un lato il «teorema di Stefano». Dall'altro l'algoritmo «di Claudio». Due formule per niente «magiche», ma elaborate su solide basi matematiche che avrebbero consentito a decine di aspiranti militari di accedere all'Esercito in ferma breve quadriennale. Da ieri, gli ideatori dei suoi sistemi sono formalmente accusati di avere viziato un intero sistema. Si tratta di Stefano Cuomo e di Claudio Testa. Per entrambi il gip ha disposto i domiciliari, ma il secondo si trova attualmente in Germania e ha assicurato che si consegnerà alle autorità. È, la sua, quella dell'ingegnere Claudio Testa, la figura cruciale dell'inchiesta sulla (presunta) mega truffa e il conseguente (altrettanto presunto) mercimonio dei test per il concorso finito sotto accusa. Perché, scrive il gip, con l'algoritmo di Testa si consentiva ai candidati di rispondere correttamente a tutti i quesiti eccetto che a quelli di logica e matematica; con il «teorema» di Cuomo, invece, si accedeva alle due discipline non coperte dalla formula. Va detto che, secondo gli inquirenti, l'algoritmo da solo bastava a raggiungere l'idoneità.

Ma come funzionava, nella pratica, l'algoritmo al centro della vicenda? È più complicato spiegarlo che applicarlo. Per ottenere la risposta giusta si sommavano: il numero delle lettere della prima parola della domanda che precedeva quella a cui si stava rispondendo (esempio: «quale» 5 lettere), poi si aggiungeva l'unità del numero della scheda estratta quel giorno (se 23, si considerava il 3); si addizionava poi una variabile che, in realtà, non variava mai, ovvero un numero comunicato il giorno del test; infine, si sommava la cifra dell'unità del numero della domanda alla quale si stava rispondendo. A quel punto bastava contare dalla «a» alla «d» fino a raggiungere la cifra ottenuto. Il conteggio andava fatto da sinistra verso destra per i quesiti dispari, da destra verso sinistra per quelli pari.

L'algoritmo al centro della bufera sarebbe stato messo a punto da Claudio Testa. La formula matematica, una vera e propria «chiave», scrive il gip, fu ideata e applicata da Testa che poi la condivise con coloro che, all'interno dello stesso sistema, l'avrebbero successivamente «venduta» ai candidati. L'ingegnere, responsabile dell'area informatica e della sicurezza della Irp Srl, non avrebbe infatti avuto alcun ruolo nella fase di «distribuzione». Ma fu lui, sostiene l'accusa, che randomizzò le domande scelte per la composizione delle banche dati dei quesiti cedute al Ministero della Difesa. Questo è stato peraltro dichiarato da sua madre, Maria Gargiolli, rappresentante legale della società. L'esistenza della chiave informatica che nelle intercettazioni gli stessi indagati definiscono «algoritmo» emerge anche dalla documentazione trovata durante le perquisizioni del 2016 in casa degli indagati Ciro Fiore, Luigi Masiello, Sabato Vacchiano, Giuseppe Zarrillo e Giuseppe Fastampa.

La formula ha funzionato fino a una data precisa. Mentre erano in corso i test del 5 luglio del 2016, infatti, l'algoritmo andò improvvisamente in tilt. Si tratta di un fatto anomalo che, scrive il gip, resta ad oggi senza spiegazione. Testa avrebbe sostituito tutti i plichi sigillati e già consegnati, contenenti i questionari elaborati e non ancora estratti (e dunque eventualmente utilizzabili per le successive fasi del concorso), con altri plichi con dentro questionari simili: in tal modo avrebbe disattivato il «suo» algoritmo, azzerandone la funzionalità.

Il motivo del corto circuito «indotto», come detto, non è ufficialmente ricostruito, ma l'impressione è che a un certo punto la situazione sia sfuggita al controllo di tutti. La distribuzione avrebbe raggiunto un numero troppo elevato di candidati, finendo, di mano e mano, a chiunque e dovunque. Mandare in tilt il sistema sarebbe stato in quest'ottica, un tentativo, disperato, di evitare guai. Ma era già troppo tardi. La pioggia di ricorsi e le indagini erano già partite.

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