Il generale Bardi: «Io, servitore
dello Stato alla gogna per 2 anni»

Il generale Bardi: «Io, servitore dello Stato alla gogna per 2 anni»
di Paolo Barbuto
Mercoledì 5 Aprile 2017, 12:00 - Ultimo agg. 12:13
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Due anni da indagato per poi scoprire che la sua posizione è stata archiviata perché ogni ipotesi di illecito nella condotta è stata considerata insussistente. Vito Bardi, generale della Guardia di Finanza, parla con un tono brioso che, da solo, basta a trasmettere tutte le sensazioni di questo momento: gioia, rilassatezza, ritrovata serenità: «No - puntualizza - la serenità non l'ho mai persa perché ho sempre saputo di non avere nulla a che fare con la vicenda che mi vedeva coinvolto. Sono sempre rimasto sereno. Però sono stati giorni difficili».

Come si raccontano questi due anni? Partiamo dall'inizio o dalla conclusione?

«Quando ho saputo di essere indagato ero vicecomandante della Guardia di Finanza, un ruolo di prestigio che ricoprivo con la stessa dedizione che ha segnato tutti i miei 45 anni vissuti, con orgoglio, indossando quella divisa. In quel momento ho capito che qualcosa sarebbe cambiato».

Cosa è cambiato? Si è sentito isolato?

«No, proprio no. Fin dalle fasi iniziali di questa assurda vicenda ho sentito intorno a me solo affetto e stima. E non mi riferisco solo ai familiari e agli amici: anche all'interno della Guardia di Finanza sono stato avvolto da attestati di vicinanza e solidarietà. Perfino il Cocer (il sindacato interno n.d.r.) si è schierato al mio fianco. Diverso è stato il racconto presentato all'opinione pubblica».

Si è sentito alla gogna?

«Il mio nome è finito sui giornali in prima pagina. Non ho ricevuto un buon trattamento dalla stampa ma capisco che ognuno svolge il proprio ruolo. Oggi non provo rancore, però il dispiacere in quei giorni è stato forte. E il danno d'immagine incalcolabile».

L'immagine, però, oggi torna cristallina, senza più l'ombra dell'indagine.

«Ma in questi due anni le occasioni che la vita avrebbe potuto presentarmi sono state bruciate. Quando si conclude una carriera come la mia, capita che possano arrivare incarichi di alto livello sia nel pubblico che nel privato. Io non sono stato preso in considerazione e, onestamente, non mi sono mai neanche proposto».

Però lei sapeva di non avere nulla a che fare con le accuse, perché non si è proposto?

«Io conosco il mondo. Se ci fosse stata la possibilità di scegliere fra me e un'altra figura, tra uno cattivo e uno buono, secondo lei chi avrebbero scelto?».

Eppure essere indagato non significa essere colpevole, non vuol dire essere «cattivo» come dice lei.

«Il principio sarebbe questo, anzi vorrebbe essere una tutela per chi viene sottoposto a indagine. Ma sappiamo tutti che non è così».

Quante occasioni pensa di aver perduto?

«Non ci penso e non voglio pensarci. Ora sono in pensione e sono felice di esserlo, anche senza nuovi e prestigiosi incarichi. Mi godo la pensione e oggi, alla luce di questa archiviazione, lo faccio con maggior leggerezza».

Lei sa perché si è trovato coinvolto in questa vicenda?

«Sono state mosse delle accuse nei miei confronti. Ma non sono mai riuscito a sapere chi è stato. Nei documenti questo particolare non si evince. Io mi sono ritrovato alla gogna senza poter sapere nemmeno chi mi ci aveva trascinato. Adesso i miei legali proveranno a fare chiarezza anche su questo punto».

Qual è stato il momento più buio?

«Quando ho chiesto di essere ascoltato ma nessuno mi ha mai convocato. Ho preparato memoriali, scritto pagine e pagine da presentare agli inquirenti eppure in questo lunghissimo periodo in cui la mia vita è cambiata, non c'è stato mai il tempo di ascoltare la mia versione ».

Cosa avrebbe detto?

«Avrei spiegato che non avevo nulla a che fare con questa storia, avrei chiarito con dati e documenti che non c'entravo nulla. Oggi lo attesta anche un decreto del Gip, peraltro sostenuto da una richiesta formulata dai pm. Però sono passati due anni, magari se mi avessero ascoltato, questo tunnel, per me, sarebbe finito prima. Immediatamente».

Lei ha già vissuto una situazione analoga. Indagato, poi posizione archiviata.

«Anche in quell'occasione, era il 2011, ho vissuto le stesse orribili sensazioni. Anche in quel caso sapevo di non avere nulla di cui preoccuparmi. Si tratta della vicenda P4, ero accusato di aver diffuso notizie riservate, sapete perché? Perché avevo fatto il mio dovere con una relazione a un mio superiore. Quella vicenda, però, almeno ha avuto un esito utile: in seguito a quell'indagine è stata varata una norma che non considera la relazione a un superiore in grado come diffusione di notizie riservate. Il Pm era uno di quelli che ha aperto anche quest'ultima indagine (Woodcock, n.d.r.)».

Avanza sospetti?

«Nemmeno lontanamente. Era solo il completamento di quel racconto. Non c'è nessun'ombra e nessun sospetto. Chiariamolo bene, per piacere».

L'indagine del 2011 è stata, almeno, utile a generare una norma oggi in vigore. Cosa resta, invece, di quest'ultima vicenda?

«In me resta l'amarezza.

Però mi auguro che possa servire come punto di riferimento in futuro. È giusto che la magistratura indaghi, se ci fosse un dialogo con gli indagati, se venissero ascoltati, le cose potrebbero avanzare in maniera diversa e, magari, concludersi prima».

 

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