«L'inchiesta finirà a pane e puparuoli», ecco l'intercettazione che ha tradito l'ultrà del Napoli che ha ucciso Belardinelli

«L'inchiesta finirà a pane e puparuoli», ecco l'intercettazione che ha tradito l'ultrà del Napoli che ha ucciso Belardinelli
di Mary Liguori
Sabato 19 Ottobre 2019, 08:00 - Ultimo agg. 15:41
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«Ho le gambe rotte, ma sto bene... sto bene». Sarebbero state queste le ultime parole di Daniele Belardinelli. Le ha riferite alla Digos uno dei due soli testimoni che hanno accettato di parlare con la polizia, gli unici che non avrebbero mentito. Nel generale quadro di omertà che ha accompagnato le indagini, ci sono due voci fuori dal coro silente. Sono quelle di uno degli arrestati per i tafferugli, che collabora in cambio del patteggiamento, e c'è quella di un secondo tifoso interrogato dalla Digos che sostiene di aver assistito ai tragici fatti di via Zoia.
 
«Ho visto una vettura che definirei una berlina di colore scuro, passare sopra con la ruota anteriore destra e quella posteriore destra a un ragazzo steso a terra e anche per un momento fermarsi prima di superare l'ostacolo. Mi sembra che la vettura non procedesse ad alta velocità. Per quanto io ho visto, la vettura ha schiacciato la persona all'altezza delle gambe. Mi sono avvicinato e dato che il volto era solo semi coperto ho riconosciuto subito che era Daniele. In quel momento però ancora parlava e mi ha risposto ho le gambe rotte, ma sto bene. Daniele era steso con la testa in direzione del lato destro di via Novara, direzione stadio e le gambe in direzione opposta, trasversali alla carreggiata». Insomma, secondo il testimone Belardinelli era ancora vivo subito dopo l'investimento e l'auto che lo ha centrato non procedeva a velocità sostenuta. È il solo racconto diretto, l'unico che può orientare, in futuro, il processo in direzione della difesa, che sostiene si sia trattato di un incidente, sono le parole dell'avvocato Dario Cuomo, legale di Manduca, o dell'omicidio volontario, come sostiene la Procura di Milano.

Le ottantadue pagine dell'ordinanza del gip di Milano recano il risultato delle comparazioni dei fotogrammi della maledetta sera di Santo Stefano del 2018. Video del Comune, due filmati amatoriali, le perizie e le simulazioni che la Digos ha eseguito sin dai giorni immediatamente successivi la morte di Daniele Belardinelli. Al silenzio degli ultras e ai tentativi di depistaggio di coloro che erano nella Peugeot che ha investito il tifoso lombardo, la polizia ha risposto con la tecnologia. Sono incluse, agli atti, alcune intercettazioni che inquadrano da un lato il delitto, dall'altro la personalità delle persone coinvolte in una delle pagine più buie della storia del tifo violento. Il primo dialogo che getta forti sospetti su Fabio Manduca, da ieri a Poggioreale con l'accusa di avere investito volontariamente Belardinelli, intercorre tra lui e sua sorella. Le telefona per farle gli auguri e le dice di essere indagato. «Mo devo mettere l'avvocato.. ma se pure avessi investito qualcuno... noi non ce ne siamo accorti.. non ho ucciso nessuno... Stefa'...». La donna lo rincuora: «Bravo, c'era tutta quella baraonda, la rissa, i petardi... l'inchiesta finirà a pane e puparuoli, vedrai!»: espressione dialettale per dire «sarà una bolla di sapone». Ma, in fondo, Manduca ha paura. Se non fosse così, non inizierebbe, di lì a qualche giorno, a usare il telefono della moglie per chiamare quelli che erano in macchina con lui la sera dell'omicidio. Fa pressioni sul più giovane del gruppo, per esempio, quando viene a conoscenza della sua convocazione in Procura. E gli fa dire che dopo aver attraversato via fratelli Zoia, luogo dell'investimento, non si sono mai fermati fino allo stadio. Bugia smentita dalle telecamere in cui si vede la Peugeot ferma, prima di San Siro, con loro che controllano i danniall'auto con la torcia del cellulare. Chiama, ancora, Giancarlo Franco, fratello del capoultras dei Mastiffs «Kojak», che era nella Peugeot con lui. E gli dà appuntamento «da vicino» perché parlare al telefono può essere pericoloso.

Il tassello mancante, nella meticolosa indagine della Digos di Milano, sono le tracce biologiche, quelle che si sarebbero dovute repertare sulla Peugeot di Mandura. Dure le considerazioni del gip su questo aspetto.« Deve purtroppo rilevarsi che l'esito delle perizie è stato inferiore rispetto agli esiti che erano potenzialmente acquisibili a causa della disattenzione con cui gli automezzi sequestrati sono stati tenuti presso le strutture che a Napoli le avevano in custodia. Le auto sono state lasciate per settimane in un parcheggio a cielo aperto esposte alla pioggia e agli altri agenti atmosferici nonché alla mercé di chiunque. In ragione di ciò tutte le tracce potenzialmente utili sono andate disperse». Saranno, anche queste, armi utili alla difesa. Che, come detto, sostiene sin dall'aprile scorso Belardinelli, si è parato davanti alla macchina di Manduca che non ha potuto far nulla per evitare di investirlo. La madre della vittima, in un post su Fb, ha dichiarato: «Da un lato era meglio non sapere nulla, ora si ricomincia ad aprire la ferita, sono molto arrabbiata». «Voglio vederlo in faccia, lo devo a mio figlio: spero arrivi presto la data del processo.
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