Napoli, l'avvocato clochard trova casa: «Vi racconto il mio inferno»

Napoli, l'avvocato clochard trova casa: «Vi racconto il mio inferno»
di Giuseppe Crimaldi
Lunedì 11 Febbraio 2019, 07:00 - Ultimo agg. 12 Febbraio, 06:52
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«Vorrei dire una sola parola, e nient'altro: grazie. Non avrei mai immaginato tanto affetto e tanta solidarietà. Quello che mi è mancato dalla famiglia l'ho avuto, incredibilmente, dagli estranei». Alle 11,10 di ieri «Ludovico» ha già abbandonato da ore il giaciglio di cartoni e coperte di fortuna nelle quali si avvolge per passare la notte in piazza Vanvitelli. Se ne sta rannicchiato, quasi accucciato come un randagio, in un angolo dell'ingresso della Funicolare di Chiaia. La gente passa e nemmeno sembra accorgersi della sua presenza. Accanto a lui tre grosse buste di nylon piene di panni e due trolley: «Qui dentro ho i libri che sono riuscito a portare con me. La lettura mi ha tanto aiutato in questi ultimi mesi...».

Da domani la sua vita potrebbe cambiare.
«Domani mattina mi vedo con le due persone che si sono occupate di me. Mi hanno anticipato qualcosa, ora speriamo bene».

Che cosa sono stati per lei questi ultimi otto mesi?
«Potrei facilmente rispondere: un inferno. ma non ho mai chiesto l'elemosina».
 
Ricapitoliamo. Com'è possibile che si sia ridotto a vivere in strada?

«La questione è molto più semplice di quello che possa sembrare. Abitavo con i miei in via Cilea. Morta mamma, poco dopo mio padre si è risposato con una donna che ha dilapidato il patrimonio di famiglia. A mio fratello papà regalò un immobile, mentre a me continuava a ripetere: Stai tranquillo, penserò anche a te.... Una volta morto, però, la situazione è precipitata, anche perché la seconda moglie ha iniziato a farci ricorsi e azioni legali. A quel punto ho sicuramente commesso un errore..».

Quale?
«Quello di lasciare casa paterna. Lo studio presso il quale lavoravo era di un mio cugino che, nel frattempo, aveva subìto alcune disavventure professionali, e alla fine era stato costretto a chiuderlo. A quel punto mi trasferii a Santa Maria Capua Vetere dove, con i risparmi che avevo, presi in fitto un appartamentino per poco più di un anno».

E durante quel periodo il lavoro?
«Non sono più riuscito a trovarlo. Intanto il tempo passava e le risorse economiche si riducevano sempre più. Fino a quando anche gli ultimi risparmi sono finiti. A quel punto mio fratello mi ha ospitato, ma poco dopo, le cose si sono complicate anche lì. Come si dice?: l'ospite è come il pesce, e dopo un po' di tempo puzza. E così sono dovuto andar via. Così sono ritornato a Napoli».

Ma guardandosi alle spalle lei oggi sente di doversi rimproverare qualcosa?
«Se solo avessi la possibilità di tornare indietro certo che non rifarei quello che ho fatto. E naturalmente mi comporterei diversamente, a cominciare dai rapporti con la seconda moglie di mio padre, alla quale non avrei dovuto lasciare campo libero, consentendole di sperperare anche la parte di proprietà che spettava a noi due figli. Di errori, purtroppo, ne ho commessi anche io».

In questi otto mesi chi le è stato vicino?
«Diverse persone. Ma non quel che resta della mia famiglia. Ho trovato le porte aperte della chiesa di San Gennaro al Vomero, dove c'è un sacerdote che è persona meravigliosa e di immensa generosità. Lì, accanto alla parrocchia, ci sono anche le docce e i bagni. Poi, naturalmente, voglio ringraziare tutti, ma proprio tutti quelli che adesso si stanno interessando a me. A cominciare dagli avvocati. Domani ne incontrerò due per avviare questo nuovo percorso: se ho ben capito, grazie anche ad un'associazione, potrei avere in comodato d'uso un piccolo alloggio per qualche tempo. Naturalmente dovrò anche rimettermi in carreggiata con il lavoro».
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