«Napoli, le risse cittadine
tutto frutto dell'invidia»

«Napoli, le risse cittadine tutto frutto dell'invidia»
di Gigi Di Fiore
Martedì 19 Marzo 2019, 09:16
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Una «litigiosità cannibale, assai spesso prodotta dall'invidia». Non si nasconde dietro perifrasi Rossella Paliotto, presidente della Fondazione Banco di Napoli. Interviene con parole dirette nel dibattito sull'eccesso di litigiosità che a Napoli blocca molte istituzioni.

Presidente, il litigio continuo è una degenerazione cittadina solo di questi ultimi tempi?
«Napoli è litigiosa da sempre. L'eccesso di individualismo è uno dei punti di debolezza del Mezzogiorno. Ne viene colpita l'efficacia di qualsiasi forma di rappresentanza. E lo dice una che ha avuto esperienze in più organismi rappresentativi».

Che cosa si può fare?
«Tornare ai valori, mi sembra che ne stiamo perdendo il senso, chiusi in un culto dell'individualismo che è pericoloso. Fa perdere di vista l'interesse generale e stronca la capacità di progettare e sognare. Le cronache ce ne offrono molti esempi».

Quale l'ha colpita di più?
«L'assenza di volontari per le Universiadi. Mi sono chiesta, se anche i giovani si tirano indietro significa che mancano esempi positivi e incoraggiamenti. Ma certo, nei mesi scorsi, attorno alle Universiadi si è celebrato uno dei tanti scontri cittadini».

Allude al contrasto tra il sindaco De Magistris e il governatore De Luca?
«Sì, anche se tra il sindaco e il presidente della Regione i contrasti e i litigi sono continui su più fronti e settori».

Qual è il suo pensiero su questo scontro?
«Lo trovo vergognoso. Mi sembra, dopo mesi e mesi, che stia sfociando quasi nell'odio personale. I due vertici istituzionali si lanciano strali a distanza, non si parlano se non con invettive e non si fidano l'uno dell'altro».

 

Invettive?
«Quando De Luca definisce pulcinellesco il comportamento di De Magistris offende con lui i napoletani che dal sindaco, comunque la si pensi, sono rappresentati».
De Magistris vittima?
«No di certo. Anche il sindaco, con la sua demagogia, le sue notizie farlocche che di frequente nascondono la realtà, non fa nulla per ricomporre lo strappo».
Anche la Fondazione che presiede ha vissuto mesi di tensioni e scontri interni, spesso incomprensibili. Tutto finito?
«Anche noi, certo, abbiamo vissuto intense divisioni. Ho cercato di ricomporre le fratture, di creare un clima di accordo e armonia con la mia presidenza».
Con quale formula?
«L'unico modo è ascoltare le ragioni di tutti, non demonizzare alcuna posizione e cercare un punto di mediazione pensando ad un obiettivo comune da raggiungere, superiore alle motivazioni individuali».
Non sempre è possibile, non crede?
«Quando vedo che la Camera di commercio ha dovuto ricorrere ai tribunali mi cadono le braccia. Io, lo dico in maniera provocatoria, abolirei i Tar e i ricorsi amministrativi per spingere ogni organismo a cercare nel confronto interno una ricerca di mediazione».
Non è che a Napoli, in molti settori, sia in discussione soprattutto l'autorevolezza di chi deve decidere?
«Sicuramente c'è anche questo. Il problema è che più ci si arrocca dietro posizioni che nascono da risentimenti e prevenzioni personali, più si accresce la chiusura e la diffidenza. Così, si perde a Napoli il senso della comunità e si arriva allo sfascio sociale».
Nessun settore sembra esserne immune. Che idea si è fatta dello scontro sulla nomina del direttore artistico del Mercadante?
«Lo scontro non nasce sulla persona del direttore uscente De Fusco, ma dal fatto che sia stato nominato in precedenza dalla Regione. Così, per quella logica su cui abbiamo già ragionato prima, il Comune ritiene che debba essere sostituito da un nuovo direttore. Sono logiche personali, queste, dettate non dall'analisi del merito e dei risultati di una gestione, ma da considerazioni sulla persona».
Queste logiche non chiamano in causa anche il mondo delle professioni e dell'imprenditoria, che sembrano arroccarsi nel loro particolare con poca voglia di partecipazione?
«Sì, ho letto cosa sostiene il rettore Manfredi. Concordo con lui, sicuramente c'è anche quest'aspetto nel pantano in cui sembra precipitare la città. Ma più le istituzioni danno esempio di contrapposizioni individuali, più la cosiddetta società civile pensa che qualsiasi impegno sui progetti e gli obiettivi sia inutile se nelle scelte prevalgono poi valutazioni basate esclusivamente sulle persone».
Ha una sua proposta?
«Sì. Sono convinta che in ogni contrasto, quando le spaccature si incancreniscono, sia necessario trovare un arbitro, un mediatore, un campo neutro per arrivare ad un accordo sugli obiettivi. Ho vissuto esperienze di trattative sindacali nel mondo dell'impresa e so cosa significa. E quindi candido la Fondazione Banco di Napoli».
Cosa significa?
«Che nei principali contrasti istituzionali in città, propongo la sede della Fondazione e la Fondazione stessa come mediatore e luogo neutro per arrivare ad una ricomposizione. Una proposta che sembra poco formale, ma che potrebbe essere attuata in concreto. Un modo per far capire che a Napoli serve fare squadra di fronte a degli obiettivi di interesse collettivo».
Pensa sia praticabile?
«Con la buona volontà generale, sì. Mi faccia fare un'osservazione. Nella maggioranza di questi contrasti, i protagonisti sono uomini. Come se avessero una particolare propensione a fare la guerra, anche se il rischio è di arrivare a seminare macerie».
Nel merito, molti contrasti nascono da finanziamenti e da diversità di interessi elettorali. Inevitabile?
«Queste le ragioni di partenza, poi subentrano i rancori personali. Se rimaniamo ancorati ai calcoli e all'interesse di bottega, non credo faremo passi in avanti. Parlo al plurale, come napoletana innamorata della mia città. Non sopporto che, in uno scenario sempre più precario e difficile, i giovani debbano andarsene per realizzarsi. Temo che, se continua così, lasceremo la città in mano alla criminalità e alla mediocrazia. Temo molto il governo dei mediocri».
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