Napoli, luce sul far west ai baretti:
«Era la faida per lo champagne»
45 bottiglie stappate, poi gli spari

Napoli, luce sul far west ai baretti: «Era la faida per lo champagne» 45 bottiglie stappate, poi gli spari
di Leandro Del Gaudio
Lunedì 14 Maggio 2018, 23:00 - Ultimo agg. 15 Maggio, 16:28
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Tutto ruota attorno a quelle 45 bottiglie di champagne aperte da alcuni ragazzi che seggono attorno allo stesso tavolino. Sono inquadrati in un video, che verrà immagazzinato su Instagram, sembrano spensierati, alzano i flutti, brindano e stappano bottiglie. Una dopo l’altra, fino ad arrivare a 45 esemplari, quasi una sorta di trofeo da salvare sui propri cellulari, da postare sui social e da mostrare alla propria rete di contatti. È il due novembre scorso, in un localino alla moda di Chiaia, nella notte della movida napoletana: quel video - anche se attori, comparse e «regista» lo ignorano - è destinato a diventare la miccia che fa esplodere un episodio di guerriglia urbana, unico nel suo genere. È il prequel della rissa scatenata dal branco di teppisti di San Giovanni a Teduccio, «ingelositi» per quelle immagini di festa: come se stappare decine di bottiglie di champagne fosse una provocazione, un guanto di sfida lanciato da un capo all’altro della città, un modo per mostrare i muscoli tra gruppi criminali. Un modo per rimarcare il predominio del territorio. Eccola la causa della rissa con pallottole, a mo’ di far west, in quella notte tra il 18 e il 19 novembre scorsi, al termine della quale Giuseppe Troncone impugnò la pistola ed esplose colpi a raffica contro il branco di aggressori che lo aveva preso di mira, quando era ormai chiaro che stava avendo la peggio. Su quella notte, su quella rissa con pistole e coltelli, c’è l’ultima ricostruzione che porta la firma del gip Alfano, che lo scorso sabato ha spiccato un nuovo ordine di arresto a carico di Giuseppe Troncone. Come è ormai noto (ne abbiamo parlato nell’edizione di domenica scorsa), gli arresti bis di Troncone fanno leva sulle stesse accuse che lo tengono in cella da dicembre (tentato omicidio), anche se con l’aggravante del fine camorristico. Metodi e strategie - scrive il gip Alfano - non appartengono a semplici fatti di ragazzini violenti e incivili, ma sono qualcosa che ha a che vedere con la camorra. Ma proviamo a seguire il ragionamento del giudice, alla luce delle indagini condotte dai pm Celeste Carrano e Antonella Fratello (titolari delle indagini sui clan rispettivamente di Napoli ovest e di San Giovanni a Teduccio). Sono tre le date da tenere in considerazione. È il due novembre scorso, uno dei week end più ambiti della movida napoletana, vero e proprio banco di prova i gestori dei baretti di Chiaia: è la notte in cui Giuseppe Troncone si diverte a bere assieme ad alcuni amici. Cellulari pronti a scattare, qualche ragazza, e giù con le bottiglie di champagne, tutto rigorosamente immortalato in selfie e in un video. 

Nove giorni dopo (è l’undici novembre del 2017), un altro fatto di cronaca, solo apparentemente scollegato ma determinante per capire cosa avrebbe poi scatenato la guerra dello champagne: viene fermato in zona Decumani da commissariato Dante il minore G.F., ritenuto rampollo di una nota famiglia criminale di San Giovanni a Teduccio. Viene trovato in possesso di una pistola e di soldi, non si ferma all’alt e viene bloccato dopo un rocambolesco inseguimento (anche se il magistrato minorile, sulle prime, non ritiene tutto ciò sufficiente ad arrestarlo), poi gli sequestrano il telefonino cellulare. Ed è dalla memoria dello smartphone che emerge un particolare destinato ad avere un significato in questa storia di spari e violenza gratuita in mezzo a migliaia di ragazzi per bene e a gestori che svolgono onestamente il proprio lavoro. In sintesi, sul proprio profilo Instagram, il minorenne G.F. (quello di San Giovanni a Teduccio) dialoga con un proprio coetaneo. I due fanno riferimento proprio al video del due novembre che immortala la tavolata di ragazzi con le bottiglie di champagne stappate. Ecco il tenore della conversazione:
Amico: «Hai visto quello che ha fatto?».
G.F.: «No, non ho visto, che ha fatto?».
Amico: «Ha aperto 45 bottiglie».
G.F.: «Quello sai che ci deve fare a noi?». 

Parole che sembrano riferirsi direttamente a Giuseppe Troncone, quello al centro del video, figlio dell’omonimo boss di Fuorigrotta, bersaglio mobile numero uno per quelli di San Giovanni a Teduccio.

 

Parole che spingono il gip a dare importanza alla storia delle bottiglie di champagne e dei calici alzati nel corso di un video destinato ad essere postato in un circuito aperto anche a quelli di San Giovanni. E sono proprio i Formicola, la notte tra il 18 e il 19 novembre scorsi, a capitanare la spedizione punitiva in via Carlo Poerio. Sono armati, hanno mazze e coltelli, non vanno a casaccio. Cercano qualcuno. Puntano dritto contro Troncone jr che, dal canto suo, è uscito di casa con una pistola. Stando alla ricostruzione degli inquirenti, l’inizio delle ostilità tra quelli di Fuorigrotta e di Napoli est va ricondotto a un precedente litigio in zona piazza Mercato, anche se su questa storia non ci sono riferimenti specifici. 

Ma cosa scrive il gip a proposito del video dello champagne? «Potrebbe essersi trattato di un episodio letto come provocazione da parte del branco di G.F.». 

Insomma, una «smargiassata» che evidenzia - sempre secondo il gip - anche la disponibilità economica di Troncone. Due punti sui quali Troncone jr si è difeso con determinazione nel corso del faccia a faccia con il giudice nel carcere di Poggioreale. Assistito dai penalisti Antonio Abet e Giuseppe Perfetto, l’indagato non ci sta e ribadisce alcuni punti nella sua dichiarazione spontanea: «Non conoscevo quelli che mi hanno aggredito, non li avevo mai visti prima della notte di novembre. Non so per quale motivo nutrissero astio nei miei confronti, credo che quella notte cercassero di attaccare briga senza un motivo preciso. Volevano prendere questione e basta, ci siamo andati di mezzo noi».

Quanto invece alla disponibilità economica che viene sottolineata dal gip Troncone non ha dubbi: «Lavoro per una caffetteria, ho una busta paga regolare. Quelle bottiglie che si vedono nel video non le ho comprate tutte io, ma facevano parte di un “tavolino”, insomma avremmo diviso il conto per quanti ragazzi avevano consumato da bere quella sera. I mie difensori - aggiunge Troncone - hanno depositato istanze in Procura perché vengano identificati i responsabili dell’aggressione subita, in cui sono parte offesa». 

Ma gli atti del nuovo arresto ci sono anche altri elementi di novità, al termine delle indagini della Mobile del primo dirigente Luigi Rinella.

C’è il video che immortala uno dei ragazzi di Fuorigrotta - tale Andrea Nocerino - che si lava il sangue dal viso da un acquafrescaio di Mergellina, che dimostra quanto sia stato cruento lo scontro. Poi ci sono le intercettazioni che riconducono a via Taverna del Ferro, quelle a carico del branco dei Formicola, dalle quali si ascolta la voce di un minorenne che parla di un proprio complice: «Quella notte è uscito con il ferro (pistola)». Quanto basta a tirare le somme, almeno nell’ottica del gip: «Quella notte, i due gruppi si sono scontrati con metodo mafioso. C’erano pistole sia nel gruppo di Formicola (gli aggressori), sia in quello di Troncone», per un odio covato nel tempo, in relazione a un precedente litigio. E a fare da detonatore - scrive - quella specie di «smargiassata», quella ostentazione di «forza economica» che ha provocato la risposta del gruppo dei Formicola. 

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