Suleiman, 8 anni, sbarca a Napoli: «Sulla Sea Eye ho visto morire ​mia mamma e le mie sorelline»

Poche parole in francese: "Sono state in acqua troppo tempo"

Lo sbarco dei migranti a Napoli
Lo sbarco dei migranti a Napoli
di Gennaro Di Biase
Martedì 7 Febbraio 2023, 00:00 - Ultimo agg. 17:35
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Suleiman ha 8 anni e fa una smorfia di dolore contagiosa mentre entra nella tensostruttura allestita al molo 21, dove ieri mattina sono stati portati i primi soccorsi ai migranti arrivati all’ombra del Vesuvio. Sono tante le storie strazianti sbarcate dall’Africa a Napoli alle 14 di ieri, assieme alla Sea Eye. Tante tragedie private ma globali, molte delle quali sono ancora senza nome. Tanti pugni nello stomaco dell’umanità, tutti maturati in queste oltre 100 ore di viaggio che sono costate tre vite, dopo il salvataggio portato dall’imbarcazione Ong. Ma i morti in realtà, sono molti di più, e Suleiman lo sa: il naufragio sulle coste della Libia dei giorni scorsi è stato disastroso: era partito con una famiglia composta da quattro persone, ma tante delle vite ingoiate dal Mediterraneo, ancora una volta, resteranno senza sepoltura. Come quelle dei suoi cari.

Suleiman ha un nome da re e non ancora 10 anni, ma ha viaggiato con il cadavere della madre nella stiva. Per scappare dalla disperazione, è partito dalla Costa d’Avorio settimane fa e la sua odissea ha fatto tappa anche in Tunisia. Un esodo terribile. C’erano anche sua madre e le sue due sorelle con lui, quando è iniziato il viaggio alla ricerca di un’esistenza migliore, ma «hanno passato troppo tempo in acqua», sussurra in francese il piccolo. «E ora non ci sono più».

Suleiman trattiene il pianto ma non il dolore, che gli deriva da ustioni a mani e piedi. «Gli fa male tutto. Adesso Suleiman dovrà curarsi al più presto - aggiunge Mamadou Gueye, mediatore culturale del Cidis, con le lacrime agli occhi - Purtroppo, assieme a lui ci sono tanti adulti che hanno bevuto acqua di mare e non si trovano in buone condizioni.

Scappano tutti dalla miseria e dalla povertà». Dal report “rescue person list” che Il Mattino ha avuto modo di consultare, emerge che a Suleiman resta solo il papà, che vive in Francia, come riferito dall’assessorato alle Politiche sociali che ha preso in custodia il bambino. Va sottolineato che - come ha fatto sapere ieri sera la Prefettura - le operazioni di identificazione sono tutt’ora in corso (ovviamente, si è data priorità agli screening sanitari), ma nel file sopracitato si leggono parole e cifre secche e allo stesso tempo piene di dolore. I migranti sono classificati, per adesso, attraverso dei numeri, «Son n.6, wife deceaded», è scritto alla voce «family on board» nelle info del papà di Suleiman. Quella madre di Suleiman è una delle due salme che erano a bordo della Sea Eye. 

 

Il documento realizzato a bordo racconta altre storie, e lo fa attraverso le cifre: è composta da 107 numeri. E cioè da altrettante vite umane. Sudan, Nigeria e Costa d’Avorio sono i Paesi da cui proviene la stragrande maggioranza dei migranti arrivati in città. Ma si trovano anche persone fuggite dal Mali, dal Gambia, dalla Guinea, dalla Sierra Leone e dal Senegal. Nazionalità a parte, va sottolineato che a Napoli sono sbarcate 106 persone, una in meno di quanto riporta la lista. I morti sono dunque saliti a tre, dall’altra sera a ieri (dato confermato dal prefetto Palomba). «Il personale di bordo ci ha confermato un’altra storia - spiega Laura Marmorale, attivista di Mediterranea Saving Humans, Ong che ieri mattina era al porto per accogliere i migranti - L’altro pomeriggio, mentre la Sea Eye si trovava tra Sicilia e Calabria, un uomo di 29-30 anni della Costa d’Avorio, in gravi condizioni dovute probabilmente a crisi epilettiche, è stato trasportato in elicottero in un ospedale di Messina. Ma ci è arrivato morto. Bisognava far sbarcare i migranti al primo porto utile». Un’altra vita sacrificata. Nel file, alla posizione 45, risulta anche un neonato nigeriano di 10 mesi, che è «accompagnato dal padre e dalla madre», conferma la prefettura. Nei giorni scorsi si era diffusa la notizia che il piccolo fosse solo. Ma - per fortuna in un mare di amarezza - non risultano bimbi in fasce non accompagnati.

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Tra gli attivisti accorsi ieri al porto c’era anche padre Alex Zanotelli: «Una terza morte sulla nave mi ha lasciato allibito - sospira - Abbiamo a che fare con uno Stato che dovrebbe rappresentare la legalità, e invece ci troviamo davanti a una persecuzione delle navi che tentano di salvare vite umane. Prima avevamo “Mare nostrum”, ora invece sempre più persone moriranno in mare. La legge internazionale dice che bisogna salvare le vite prima di tutto. In nome di cosa si è tardato, mi domando? In nome del suprematismo bianco? Le situazioni di chi scappa dal Sudan e dalle guerre africane sono gravi. Per questo rischiano di tutto: affrontano il deserto e altre gravi insidie pur di arrivare qui. Sono disperati, come si fa a non capirlo?». Prima il deserto, poi il mare: in questo caso, le due facce opposte dell’inferno.

 

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