Napoli, morto d’infarto durante il raid;
medici e infermieri: «Potevamo salvarlo»

Napoli, morto d’infarto durante il raid; medici e infermieri: «Potevamo salvarlo»
di Leandro Del Gaudio
Martedì 8 Giugno 2021, 23:54 - Ultimo agg. 24 Marzo, 04:11
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Poteva essere salvato, ma nei suoi confronti non poteva essere attivata alcuna manovra di riabilitazione. Era impossibile, in quei momenti di caos e paura, occuparsi di un paziente (per quanto ricoverato in gravi condizioni): era impossibile accorgersi che sul monitor i valori davano segnali di allarme, intervenire anche solo per alleviare la sofferenza di quell’uomo colpito da un’improvvisa crisi respiratoria.

«Potevamo salvarlo - dicono medici e infermieri - ma in quella maledetta notte eravamo troppo presi a difenderci dall’assalto». E ancora: «Era impossibile procedere a un intervento in extremis, nel tentativo di tenere in vita un cuore malato», si legge nella prima ricostruzione investigativa. È quanto sta emergendo dall’inchiesta condotta sulla morte di un uomo di 76 anni, la notte tra sabato e domenica, in una corsia dell’ospedale Cardarelli. Una vicenda che merita di essere approfondita, alla luce di quanto viene confermato dall’analisi delle cartelle cliniche, dalla prima ricognizione autoptica sul corpo del paziente e - non da ultimo - dalla testimonianza messa agli atti da alcuni esponenti dello staff medico presenti in ospedale lo scorso week end. 

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Inferno ospedaliero, su cui ora battono le indagini della Procura di Napoli, che punta a fare chiarezza sul decesso di Tammaro M., classe 1946, avvenuto in una notte di ordinaria follia. Ricordate il caso? La storia è questa: sabato notte muore una donna di 68 anni, si scatena la rabbia dei parenti, che devastano una corsia. Minuti di terrore, in cui si registra la morte di un altro paziente, un uomo di 76 anni. 

E, a distanza di pochi giorni dalla morte di Tammaro M., emergono conferme inquietanti: il paziente è stato stroncato da un infarto alle 00.30 di domenica scorsa, vale a dire nel pieno del caos provocato dall’avvento di una banda di nove teppisti (otto donne e un uomo), infuriati per la morte di una loro congiunta.

Era stato ricoverato per uno scompenso cardiaco, poi è stato colpito da un infarto nel pieno del trambusto provocato dall’aggressione di medici e infermieri a pochi passi dal suo letto. Nessuno, al momento, può stabilire l’esistenza di un nesso di casualità tra i tafferugli e l’infarto toccato al 76enne, ma resta il dolore da parte dei componenti dello staff sanitario per non aver potuto soccorrere quel paziente. 


Quarto piano, reparto di Medicina d’urgenza, l’organico di medici e infermieri è al completo. Attrezzati a fronteggiare le emergenze, tutti hanno alle spalle i mesi più duri della loro vita, quelli segnati dal covid. Nessuno però può immaginare cosa sta per accadere. Ce lo raccontano loro, a leggere le testimoninanze messe agli atti grazie al lavoro dei carabinieri della compagnia Vomero, che sono riusciti a ripristinare l’ordine in ospedale. 


Paura e senso di impotenza, a leggere le testimonianze trasmesse in Procura (indaga il pool dell’aggiunto Ferrigno): «Non ce l’ho fatta. In quelle condizioni era impossibile capire cosa stesse accadendo...», dice uno dei componenti dello staff. Amaro refrain: «Abbiamo provato a mantenere la calma e a ripristinare l’ordine, ma è stato impossibile. Li abbiamo fronteggiati, ma è stato impossibile arginare la loro rabbia, ne erano troppi». C’è chi è stato costretto a cercare riparo in uno sgabuzzino, chi ha guadagnato la fuga all’interno della toilette, chi si preoccupava di mettere al riparo macchinari salvavita presenti nel reparto. Secondo la testimonianza raccolta sul posto dal Mattino, il parapiglia sarebbe durato addirittura una quarantina di minuti. Troppi.

Un lasso di tempo nel corso del quale non è stato possibile accudire i pazienti, né è stato possibile intervenire con manovre di soccorso straordinario. Sono passati trenta minuti dopo la mezzanotte, quando il cuore di Tammaro M. cessa di battere. Un infarto, probabilmente provocato dal caos, dalla tensione e dalle urla (anche se sul nesso di causalità non c’è ancora alcuna evidenza clinica), in uno scenario segnato da amarezza: «Non siamo riusciti a soccorrerlo, potevamo salvarlo? Almeno potevamo provarci, ma in quelle condizioni era impossibile qualsiasi manovra di riabilitazione». Ora la parola passa agli inquirenti. Danneggiamento, lesioni (c’è un’infermiera ferita alla caviglia a colpi di mazza da scopa), interruzione di pubblico servizio. Si lavora sugli orari, sulle testimonianze, sull’accertamento autoptico, sul contenuto di alcune immagini ricavate dal sistema di videocontrollo nella cittadella ospedaliera.

C’è un’ipotesi che al momento resta sullo sfondo e che potrà essere sostenuta solo qualora emergessero evidenze obiettive sul nesso tra l’aggressione subita dai medici e il decesso del 76enne: quella di morte come conseguenza di altro reato, ipotesi che rischia di aggravare la posizione delle nove persone identificate come responsabili del raid. E non è finita. Dopo i due raid al Cardarelli, ancora violenza in ospedale. È accaduto nel pronto soccorso della clinica Villa Betania a Ponticelli, dove un vigilante è stato spintonato dal figlio di una paziente ricoverata: pretendeva di raggiungere la madre in reparto, poi è fuggito. Violenza gratuita, l’emergenza continua.
 

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