Napoli, via murales e altarini della camorra: ora tocca alla statua del boss Sibillo

Napoli, via murales e altarini della camorra: ora tocca alla statua del boss Sibillo
di Leandro Del Gaudio
Venerdì 12 Marzo 2021, 00:01 - Ultimo agg. 12:31
5 Minuti di Lettura

Al momento ne sono stati individuati quaranta e sono disseminati in tutta la città. Saranno probabilmente rimossi, abbattuti, cancellati, per un motivo fin troppo evidente: sono simboli di camorra. Riconducono a boss, faide, equilibri criminali, violenza, dolore, sangue versato, affiliazione. Sono murales e altarini di camorra che andranno rimossi, secondo un lavoro condotto negli ultimi due mesi in Procura, nel corso di una sorta di battaglia per ripristinare il rispetto delle regole.

Non parliamo di semplici abusi (dal momento che sono migliaia nell’area napoletana i manufatti non regolari), ma di immagini, altarini, graffiti, cappelle e baldacchini che fanno esplicito riferimento a fatti di camorra. Sono immagini di storie maledette, che creano emulazione e veicolano valori distorti. Tra queste, l’altare edificato in onore di Emanuele Sibillo, il boss della paranza dei bimbi ucciso nel 2015 nel corso di un agguato in via Costa, nel corso della guerra ordita contro i Buonerba (alleati ai Mazzarella).

LEGGI ANCHE Napoli, sono 40 gli altarini della camorra 

Parliamo di una struttura creata all’interno di un edificio privato, in pieno centro storico - siamo all’altezza dei Decumani - tornata decisamente sotto i riflettori, anche per alcune immagini veicolate attraverso i social. È di due settimane fa la scena di una sorta di pellegrinaggio nella cappella di Sibillo, il ventenne che ha insanguinato il centro storico (come costola dei Bosti-Contini), provocando anche vittime estranee alla camorra: in un filmato veicolato tramite facebook, è possibile notare addirittura un padre che accompagna il figlio (un bimbo neanche di dieci anni) che entra nella cappella, accarezza quella sorta di statua. Tocca il viso - è una maschera di cera -, finanche la barba che incorniciava il volto da ragazzino di Emanuele Sibillo. È uno dei punti di cui si è discusso pochi giorni fa nel corso di un comitato per l’ordine pubblico e per la sicurezza, presieduto dal prefetto Marco Valentini, che ha avuto il merito di porre la questione murales al centro del dibattito pubblico. 

 

Insediato a Napoli da più di un anno, il prefetto ha assistito alla nascita dei murales di Ugo Russo e Luigi Caiafa, due babyrapinatori uccisi in pochi mesi nella seconda metà del 2020, dopo aver constatato di persona - grazie a una full immersion nei vicoli di Napoli - i tanti, troppi simboli di camorra veicolati da immagini, graffiti e impalcature.

Una vicenda su cui è in corso un’inchiesta della Procura di Napoli, che punta a verificare eventuali danneggiamenti al patrimonio monumentale della nostra città. Ma torniamo alla storia di Emanuele Sibillo. Scarcerato dopo qualche anno trascorso a Nisida, il giovanissimo Sibillo si mette a capo di un gruppo criminale che unisce anche i rampolli delle famiglie Giuliano e Brunetti, sotto il controllo più o meno diretto del cartello dell’Alleanza di Secondigliano.

Video

Ed è un blitz della polizia in un appartamento del centro storico, che ha confermato il legame dei Sibillo con quelli dei Bosti-Contini, dunque l’alleanza di Secondigliano. Da allora, l’ascesa criminale di un boss emergente che poi viene ammazzato nel corso di un raid (un agguato dimostrativo, una stesa) con un colpo che lo raggiunge alla schiena. Fatto sta che la sua evoluzione criminale, anche a distanza di alcuni anni, viene rappresentata da tanti giovanissimi come un momento affermazione, di riappropriazione dei vicoli del centro storico. Ed è forse questo il motivo che spinge le autorità pubbliche a disporre un intervento prossimo venturo. Altra storia quella dei murales dei due rapinatori uccisi nel 2020. Se ne è parlato ieri mattina nel corso di un incontro informale degli organi di informazione con la stampa, che è servito anche a fare il punto dei primi interventi di rimozione di altarini di camorra disposti dal prefetto. Due storie simili, quelle di Ugo e Luigi, per le quali c’è un’analisi differente da parte degli stessi inquirenti napoletani.

Due rapinatori, ucciso durante due assalti predatori in via Orsini e in via Duomo (per mano di un carabiniere e di un agente di polizia). Ma proviamo a capire per quale motivo. Come è noto, un paio di mesi fa, è stata disposta la cancellazione del murale di Luigi Caiafa, in vico Sedil Capuano, perché rappresentava un abuso in un edificio in piena zona vincolata, in uno scenario scandito dalla violenza criminale. Come è noto, Ciro Caiafa - padre di Luigi - è stato ammazzato in un agguato di stampo camorrista lo scorso 31 dicembre, quanto basta ad accelerare sul piano della rimozione. Diversa invece la storia di Ugo Russo. Anche qui destino segnato: consuma una rapina ai danni di un carabiniere in borghese, che risponde all’assalto esplodendo dei colpi. Muore in ospedale, al Pellegrini, che viene devastato da alcuni amici e parenti, c’è addirittura chi spara contro la caserma Pastrengo, il comando provinciale dei carabinieri. Eppure - come riflettono gli inquirenti - c’è una differenza che non rende il murale di Ugo omologabile ai 40 simboli camorristici: perché chiedere verità e giustizia - fa capire il procuratore Melillo - non è mai uno slogan di camorra. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA