Il dramma di Noemi, don Palmese: «Napoli non è grande come New York, questa città va disarmata»

Il dramma di Noemi, don Palmese: «Napoli non è grande come New York, questa città va disarmata»
di Maria Chiara Aulisio
Lunedì 6 Maggio 2019, 09:56
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«Ero a Poggioreale, pochi minuti prima che la piccola Noemi venisse colpita dalla furia di un killer, stavo organizzando, con il direttore, la pubblicazione delle lettere che i detenuti scrissero a Giannino Durante, il papà di Annalisa, dopo l'uccisione della figlia. Lettere di dolore, solidarietà e vergogna. L'ho saputo in carcere quello che era appena successo a piazza Nazionale». Don Tonino Palmese, vicario episcopale della Chiesa di Napoli e presidente della Fondazione Polis per i familiari delle vittime innocenti della criminalità, la giornata di ieri l'ha trascorsa in preghiera con cinquanta di queste famiglie a cui, casualità e ferocia, hanno portato via i propri cari.

Don Tonino, si continua a sparare.
«La Campania conserva il primato, e la contraddizione, dell'uccisione casuale: si spara a chi non ha fatto nulla. Anche in Sicilia si contano i morti ammazzati, ma rappresentano l'obiettivo di un delitto. Qui no».

Criminalità fuori controllo. E cresce il numero dei bambini vittime di questi agguati.
«Bisognerebbe fare una riflessione a più voci sul disagio psichiatrico che c'è in giro, e che non sempre si riesce a intercettare».

Che genere di disagio?
«Quello che ha a che fare con un'antropologia malata. Chi impugna una pistola è l'espressione di due facce della stessa medaglia: quella dell'idiota che non sa che cosa sta facendo, e il delirio di onnipotenza di chi ritiene che non possa accadergli nulla. Sono gli idioti onnipotenti e uccidono chi capita. Poi, la lentezza investigativa».

Come si affronta?
«Cambiando la legge: le forze dell'ordine devono poter indagare anche solo in presenza di una segnalazione. Napoli va disarmata. Non è possibile che si debba continuare a tollerare il lungo elenco di clan che controllano e violentano il territorio. La città è grande, d'accordo, ma non è New York, e nemmeno Parigi. Possibile che nei suoi confini così ristretti, con gli strumenti e le tecnologie di oggi, non si riesca a individuare e perseguitare questi clan?».

 

Pare sia proprio così.
«Evidentemente c'è qualcosa che sfugge al cittadino come me. La magistratura smantella organizzazioni degne della migliore letteratura gialla e poi non riesce a individuare i colpevoli, e i protagonisti, della devastazione di questa città. Siamo stanchi di sentirci dire che il fenomeno non è semplice».

Torniamo alla vicenda della piccola Noemi e alla marcia anti-camorra organizzata ieri mattina a piazza Nazionale: i parroci non c'erano.
«La domenica, si sa, è un giorno che ci vincola. Le parrocchie sono più rallentate rispetto al singolo cittadino, non possono decidere di chiudere e andar via. Posso invece immaginare che tutte le parrocchie della città, e in particolare quelle della zona dove è avvenuta la sparatoria, siano sconvolte. E sono certo che nella loro onestà pastorale si staranno chiedendo: che cosa possiamo fare per un riscatto autentico del territorio?».

Lei ieri ha detto messa?
«Come ogni domenica alle 10.30 nella chiesa dell'Arciconfraternita dei Pellegrini. L'ho dedicata alla piccola Noemi, più che una celebrazione è stata una mobilitazione di carattere spirituale. Se accadono episodi come quello in cui è rimasta coinvolta Noemi, è perché questa gente ha cancellato Dio sostituendosi a lui: la preghiera è una grande occasione per prendere coscienza di ciò che dobbiamo fare».

Il cardinale in una recente intervista al Mattino ha chiamato in causa la borghesia esortandola a fare la sua parte.
«In oltre 30 anni di attività pastorale l'ho sentito dire più volte, e anche io ho fatto spesso riferimento a un'assenza ingombrante. Il problema è un altro: bisogna capire quanto la borghesia faccia affari con la camorra. Non riesco a immaginare che sia solo sonnolenta, distratta e incapace di indignarsi».
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