Napoli, l'urlo del parroco: «Ponticelli abbandonata noi tra faide e degrado»

Napoli, l'urlo del parroco: «Ponticelli abbandonata noi tra faide e degrado»
di Maria Pirro
Lunedì 29 Marzo 2021, 09:32
5 Minuti di Lettura

Cita Madre Teresa di Calcutta e improbabili richieste dei fedeli, definisce il quartiere un ghetto, accusa le istituzioni «del tutto assenti», supplica il Signore durante la messa, perché «illumini quanti non sono operatori di pace, ma di iniquità». Così don Carlo De Rosa, 42 anni, parroco di San Rocco, chiede di «far tacere le armi inutili» a Ponticelli. Lì dove c'è stato un agguato con un morto e un ferito. Poi, un'altra sparatoria. E un ordigno è stato posizionato nella notte a due passi dalla sua chiesa.


Ha sentito l'esplosione?
«No, ma sono stato subito informato dalle suore che vivono in parrocchia e si sono svegliate di soprassalto. E, di prima mattina, ho sentito i parrocchiani, alcuni molto spaventati: sono andati in frantumi i vetri delle loro case, uno, che lì a poco sarebbe dovuto uscire per andare a lavorare, ha trovato l'auto distrutta».


Cosa le hanno detto?
«I parrocchiani sono sgomenti e spaventati.

Già questo periodo non è semplice per la pandemia e il territorio è ridotto a ghetto».


Perché parla di ghetto?
«La parrocchia si trova in un vicolo chiuso, la zona è abbandonata a se stessa. A volte per le feste si mettono le luminarie: fuori, non dentro quest'area. È un'appendice dimenticata della città».


Cosa vuol dire?
«C'è povertà. Disagio sociale. E la violenza incute un senso di insicurezza anche nelle persone oneste, che non c'entrano nulla con i clan».


Qual è il timore più diffuso?
«Le persone hanno paura dei proiettili vaganti: è già successo che qualcuno, affacciato al balcone, rischiasse di essere colpito. Sono saltati gli equilibri».

Anche lei è così preoccupato?
«Molto. Potrebbe essersi aperta una nuova stagione di lotta tra clan e verificarsi quello che è accaduto a Scampia. Come in guerra, temo possano esserci vittime innocenti».


Anche i camorristi frequentano la sua parrocchia?
«Nessuno dice se è legato alla malavita. Ma è anche vero che nessuno mai si è presentato come un mammasantissima».


Invece, le mamme le hanno chiesto aiuto per i figli a rischio devianza?
«Mai. Mi è capitato, invece, che qualche persona che doveva scontare una pena o una madre con il figlio in carcere chiedesse l'affido in parrocchia».


Ha accolto questi ragazzi?
«Li ho mandati alla parrocchia San Pietro e Paolo, realtà molto più grande di San Rocco, dove don Raffaele Oliviero ha questo tipo di servizio».


Da quanto tempo è parroco a Ponticelli?
«Da tre anni. Ma anche io sono cresciuto tra bombe e sparatorie, a Torre del Greco. Negli anni Ottanta».


Il decano, don Federico Saporito, invoca più controlli da parte delle forze dell'ordine.
«È fondamentale. In tanti anni non so nemmeno cosa sia il semplice passaggio di una volante della polizia o dei vigili urbani. Raramente ho visto i carabinieri e, quanto è capitato, ho anche ringraziato. È un bel segno, importante. Il fatto stesso che passi un'auto delle forze dell'ordine esprime vicinanza alla gente del quartiere che così non si sente abbandonata. Mi rendo conto il momento è particolare, per i controlli anti-Covid, ma sarebbe utile una presenza molto più evidente».


Cosa altro manca?
«Dal primo ottobre 2017, da quando sono parroco a Ponticelli, posso dire che le istituzioni sono completamente assenti: mi sono ritrovato a far fronte richieste che, all'inizio, mi hanno lasciato perplesso».


In che senso?
«Un anno fa, persone della comunità mi hanno chiesto di far sturare le fogne. Mi hanno chiesto pure di far ripianare le buche stradali. Anche in questo caso, vengono da me perché non sanno a chi fare rifermento nelle difficoltà quotidiane. E poi, in estate, ho dovuto affrontare un'altra emergenza».


Quale?
«Assieme alle suore, presenza fondamentale sul territorio, ho spidocchiato alcuni bambini».


Nel 2020?
«Nel 2020, ancora i pidocchi. Possibile che nessuno, neppure a scuola, non se ne sia accorto? Vuol dire che l'istituzione, in senso lato, è venuta a mancare. Qui è problematico anche realizzare sussidi per la messa: è possibile ancora incontrare chi ha difficoltà a leggere. Il livello scolarizzazione è diverso dal resto della città».


È così evidente?
«Nei quattro anni precedenti, sono stato viceparroco a piazza Vanvitelli: il divario culturale è abissale. Ma questa gente ha un cuore enorme: è buona e, nella sua semplicità, solidale proprio perché conosce le difficoltà e l'indigenza. Il sazio non può, spesso, capire chi è a digiuno».


Con il Covid, la situazione è precipitata?
«È aumentata la povertà: reddito di cittadinanza a parte, chi faceva lavoretti in nero non è rientrato nei ristori messi in campo dallo Stato e si è ritrovato in mezzo alla strada. Oggi prepariamo con la Croce Rossa tra i 120 e i 150 pacchi alimentari ogni tre settimane: 120-150 in una zona di 1600 abitanti».


Così è più facile passare dalla parte dell'anti-Stato. Vuole mandare un messaggio ai ragazzi al bivio?
«Sogniamo tutti la felicità, ma non possiamo trovarla nei soldi e nel potere».


In cosa, allora?
«Il cammino per la felicità comincia controcorrente: occorre mettere da parte l'egoismo e pensare agli altri. La vera gioia non viene dalle cose. Solo dall'amore».

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