Napoli, lo scandalo delle patenti facili: «Così il figlio di un boss superò l’esame»

Napoli, lo scandalo delle patenti facili: «Così il figlio di un boss superò l’esame»
di Leandro Del Gaudio
Lunedì 28 Febbraio 2022, 23:01 - Ultimo agg. 1 Marzo, 18:00
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Non poteva mancare l’ombra della camorra. In una storia fatta di documenti distrutti, finte denunce, mancanza di controlli e tariffari per assicurare documenti preziosi al corruttore di turno, non poteva mancare gomorra. Parliamo di patenti facili, dell’inchiesta culminata di recente negli arresti (ai domiciliari) di funzionari di Prefettura, agenti di polizia e manager di scuole guida. È di questi giorni l’udienza dinanzi al Tribunale del Riesame, dove la Procura di Napoli ha calato nuove carte.

E spunta il riferimento al ruolo di un agente di polizia (si chiama Francesco Milano, è tra i soggetti finiti agli arresti domiciliari), che intreccia una lunga trattativa con un boss di Secondigliano. Motivo? Ritenuto vicino al clan Licciardi, sempre pronto ad alzare la voce, ha un figlio che vuole prendere la patente. Un figlio che non vuole studiare, non ama lo stress (nelle intercettazioni: «Non vuole rotture...»), che va trattato con i guanti di velluto: deve essere prelevato a casa il giorno del test, accompagnato in Motorizzazione, dove qualcuno gli dovrà assicurare una prova in discesa, con tanto di successo finale.

Tutto chiaro? È questo il contenuto dell’informativa depositata al Riesame dal pm Simone De Roxas, che fa leva sull’analisi di alcune intercettazioni legate alla posizione dello stesso Francesco Milano. Ed è una informativa firmata dal capo della Mobile Alfredo Fabbrocini ad illustrare l’esistenza di una sorta di mercato legato alla vendita di patenti. Un’inchiesta che va raccontata da una premessa: tutti i soggetti coinvolti, a partire dallo stesso Francesco Milano, avranno modo di replicare alle accuse e dimostrare la correttezza della propria condotta. 

Ma restiamo all’informativa. Sessantacinque pagine sulla storia della patente al figlio del boss, grazie - si ipotizza - a esaminatori compiacenti, alla complicità di titolari di scuole guida e al coinvolgimento di funzionari pubblici. Corruzione l’accusa principale, non ci sono aggravanti mafiose in questa storia, ma vale la pena ripercorrere intercettazioni e presunti maneggi avvenuti all’ombra di uffici amministrativi. È il 4 marzo del 2021, quando l’agente in forza all’ufficio tecnico-logistico della Questura intreccia una sorta di trattativa con un esponente del clan Licciardi, dato in buoni rapporti con un boss di Cavalleggeri d’Aosta, con cui sarebbe specializzato in frodi informatiche. Si tratta di decine di conversazioni che attestano la presunta «messa a disposizione» dell’agente, nel favorire l’acquisizione del foglio rosa (dopo il test scritto) per il figlio del boss di Secondigliano. 

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Sentiamo la voce dell’agente mentre si rivolge al ragazzo: «Il giorno dell’esame ci sono i miei amici...». 
Poi gli dà dei consigli sull’outfit della mattinata e si capisce subito che in via Argine non conta essere fashion, ma «stare comodi»: «Fagli mettere una tuta - dice - che dopo sicuramente gli metteranno qualcosa...», dice a proposito dell’installazione “di un apparato elettronico a impulsi o qualcosa di similare”, come scrivono quelli della Mobile. A partire da questo momento, il rapporto tra gli interlocutori oscilla tra le parole concilianti dell’agente e la stizza (che si fa rabbia e voglia di vendetta) del presunto boss quando si accorge che la data del test per il figlio viene di volta in volta rinviata. 

«Non si è potuto fare niente, perché c’erano quelli vestiti di nero...», dice l’agente riferendosi a un probabile sopralluogo presso la Motorizzazione da parte dei carabinieri (probabilmente legati a un’altra inchiesta sulle patenti nautiche, cfr). 
Poi c’è un momento di esaltazione: «Teniamo le palle, collega, esame mai fatto...», a proposito della possibilità di assegnare il foglio rosa, grazie alla presentazione di prove posticce. Ma il risultato comunque non arriva, tanto che il boss va su tutte le furie: «Non ho paura di finire in galera, per un fatto di sangue, se mio figlio domani non fa l’esame, me la prendo con grandi e figli...». Vicende che ora spetta al Riesame valutare, in un’inchiesta più ampia in cui sono pronti a difendersi Giuseppe Visone, Corrado Romano, Francesco Pinto, Rosalba Mattiello, Gabriele Cerchia, Salvatore Lomiento, Gerardo Schettino, Giuseppe Della Vecchia. 

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