Napoli, il re di cocaina connection:
notti a Dubai, amici a Scampia

Napoli, il re di cocaina connection: notti a Dubai, amici a Scampia
di Daniela De Crescenzo
Sabato 1 Ottobre 2016, 08:31
5 Minuti di Lettura

A tradirlo è stato il suo braccio destro. Raffaele Imperiale e Mario Cerrone, gli inseparabili, quelli che avevano dato un volto nuovo, giovane e imprenditoriale alla droga connection, quelli che avevano capito che non basta guadagnare, bisogna riciclare, sono adesso nemici giurati. O almeno potrebbero esserlo. Si legge nel comunicato diffuso ieri dalla Procura della Repubblica: «A seguito dell'arresto di Cerrone e delle dichiarazioni rese da costui si sono sviluppati puntuali accertamenti patrimoniali, agevolati dall'utilissimo contributo fornito da alcune delle persone indagate, le quali hanno tra l'altro consentito di ricostruire ulteriori disponibilità economiche, finanziarie e patrimoniali della consorteria criminale».

Quindi a mettere la Dda, il Gico e il nucleo della polizia tributaria delle Fiamme Gialle di Napoli sulle tracce dei Van Gogh ritrovati nella casa di famiglia dell'enfante prodige della cocaina, è stato l'amico del cuore, Mario Cerrone. Bisognerà vedere, però, fino a che punto il socio del capo è disponibile a raccontare. Di certo si sa che i due hanno cominciato insieme e per molti anni sono restati soci in affari. Lo testimoniano, tra l'altro, le lunghissime indagini della squadra narcotici di Napoli che li ha fotografati insieme a Raffaele Amato in Spagna.

Come si accumulano i soldi necessari a comprare due dipinti dal valore «inestimabile», come ha detto ieri, Alex Ruger, direttore del museo Van Gogh ad Amsterdam dal quale i quadri erano stati trafugati nel 2002?
Raffaele Imperiale, bisogna ricordarlo, non è mai stato povero. Suo padre, Ludovico, è stato uno dei costruttori edili più noti di Castellammare e dintorni e dirigente della Juve Stabia, la locale squadra di calcio. A Castellammare si racconta che da bambino Lelluccio sia stato anche vittima di un rapimento lampo a scopo di riscatto. I soldi in famiglia non mancavano, ma Lello è andato ben oltre e grazie alla cocaina è riuscito a mettere insieme un patrimonio che fa invidia agli sceicchi di Dubai, dove si è rifugiato molti anni fa e dove continua probabilmente a vivere in attesa che l'Italia ratifichi il trattato di estradizione con gli emirati arabi.

La sua carriera imprenditoriale cominciò, guarda caso, proprio ad Amsterdam dove alla fine degli anni Novanta aprì un coffee-shop e dove si trovava anche negli anni in cui furono rubati i quadri di Van Gogh: secondo gli inquirenti fu in Olanda che riuscì ad entrare in contatto con i Narcos centroamericani. Contemporaneamente aveva conosciuto Mario Cerrone, nipote di un grosso spacciatore del rione Traiano, Eduardo Pignalosa: insieme decisero di ingrandire il giro di affari e di comprare direttamente in Ecuador e in Colombia. Imperiale non si fece scoraggiare nemmeno dalla morte per overdose del fratello, e continuò la sua ascesa entrando in affari con gli uomini che governavano la capitale della polvere bianca, Scampia.

Fu il legame con Raffaele Amato a segnare salto di qualità. E fu la rottura tra Amato e Paolo Di Lauro a determinarne la definitiva ascesa. Si racconta che «Lelluccio o parente», come lo chiamavano i suoi nuovi amici, sia stato uno di quelli che consigliò ad Amato di spostarsi in Spagna e dirigere da lì i propri affari. Poi nel 2004, quando Cosimo, il figlio di Paolo tentò di imporsi come nuovo capo, scoppiò la ribellione dei cosiddetti Scissionisti. La sanguinosissima faida che ne seguì rinsaldò i rapporti tra Imperiale e Amato che entrarono in società. La loro impresa si rese indipendente e da quel momento la cocaina spa movimentò circa duemila chili di polvere bianca all'anno: i contatti stabiliti da Imperiale e dallo stesso Amato (che per avviarli si era perfino offerto come ostaggio ai narcos) e la forza militare degli Scissionisti fecero fiorire il traffico e la premiata società riuscì a movimentare tra i due e i tremila chili di cocaina all'anno. Un chilo in Centro America costa cinquemila euro, e arrivato in Italia già ne vale 42 mila. Generalmente la polvere si movimenta in partite da cento chili. Chi governa la prima mano incassa, dunque, 3 milioni e settecento mila euro dalla compravendita di ogni carico. Quando finiscono in mano ai capo piazza però 100 chili diventano 300 da cui si confezionano le dosi. Ogni «palletta» contiene 0,20 grammi di cocaina e viene venduta a 13 euro quindi ogni grammo frutta 65 euro che moltiplicati per duemila fanno 130 milioni. Un giro di affari enorme che fa di Napoli la capitale del narcotraffico europeo, come ha sottolineato ieri il procuratore Colangelo. Tolte le spese di trasporto, le ricompense per le società che spostano il denaro per pagare la droga, i soldi da dare ai corrieri, secondo la Guardia di finanza alla fine della giostra ogni anno nelle casse della società restano 80 milioni di euro da reinvestire. Un bel problema.

Ma Imperiale e soci sono uomini dei nostri giorni e i soldi amano farli circolare in tutto il mondo: nello scorso gennaio, quando per la prima volta Imperiale (insieme ai suoi soci) è finito nel mirino della giustizia si è scoperto che il commercialista genovese Attilio Repetti avrebbe messo in piedi tre società per lavare i soldi dell'impresa e investirli in complessi immobiliari nella penisola iberica. Valore di mercato superiore ai dieci milioni, ma gli inquirenti capirono subito che si trattava delle briciole: uno come Imperiale che da anni viveva a Dubai in una suite da 1500 euro a notte nell'hotel Burj Al Arab doveva avere molto, molto di più. Poi sono venuti fuori gli investimenti a Dubai, i velivoli e i Van Gogh. Ma, c'è da scommetterci, non è finita qui: la droga connection ci riserverà altre movimentatissime puntate.