Napoli, l'ex presidente del Tribunale dei Minori: «Troppi ragazzi violenti giustificati dai genitori»

Napoli, l'ex presidente del Tribunale dei Minori: «Troppi ragazzi violenti giustificati dai genitori»
di Leandro Del Gaudio
Martedì 22 Febbraio 2022, 06:30 - Ultimo agg. 23 Febbraio, 16:38
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È stata la prima presidente donna del Tribunale dei Minori a Napoli, il giudice Patrizia Esposito è in pensione da qualche giorno, dopo essersi occupata per 25 anni di vicende che riguardano i minori.

Giudice, come è cambiato il fenomeno della devianza giovanile negli ultimi anni?
«È una realtà che rispecchia il cambiamento del contesto sociale, in cui molteplici sono i fattori che incidono. Minori invisibili che anche di sera vivono per strada e che si macchiano di condotte criminose. Ragazzini “senza scuola”, “senza famiglia” (parliamo di una famiglia responsabile dei doveri educativi); “ragazzini contro” che ignorano - perché non l’hanno mai posseduto - il senso della relazione con l’altro. Insomma, quando arrivai circa 25 anni fa al Tribunale per i Minorenni ricordo che durante le udienze di convalida era molto frequente “difendere” i ragazzi arrestati in flagranza di reato dagli eccessi di ira dei genitori che avvertivano il peso dell’offesa da loro fatta all’onore della famiglia. Oggi, invece, i genitori sono proiettati a giustificare i figli a ogni costo, anche di fronte all’evidenza dei fatti talora molto gravi, perché in fondo - dicono - “è stata una ragazzata”».

Due sere fa in via Carducci, un ragazzino è stato picchiato da un “branco” di coetanei: cosa c’è dietro tanta violenza gratuita?
«La cronaca delle ultime ore ci racconta dell’ennesima, brutale aggressione da parte di un gruppo di violenti coetanei ai danni di un inerme quattordicenne “reo” di aver difeso la fidanzatina.

Delle ultime ore è anche il racconto della spietata aggressione commessa da un gruppo di persone ai danni di un docente ritenuto “reo” di aver redarguito gli studenti per comportamenti irrispettosi in classe. Due facce della stessa medaglia e non conta che si siano verificati nel centro “bene” o in periferia: sono manifestazioni di condotte sempre più violente che affondano le radici nel totale vuoto culturale e valoriale di contesti familiari di assoluto degrado in cui è del tutto assente qualunque vincolo di sistema pedagogico e di affettività. Adulti in prima persona intolleranti al rispetto delle norme, all’elementare dovere di impartire educazione ai loro figli, che imparano così a respirare violenza attraverso i loro legami affettivi e che non hanno empatia, compassione, amicizia». 

Quanto carcere rischia un minore identificato come responsabile di un’aggressione del genere? 
«Dovrà rispondere in un processo della sua condotta secondo l’imputazione elevata dal pm. Quanto al regime sanzionatorio, il tema non è “quantitativo”, ma quel che conta è la tempestività e la “serietà” della risposta giudiziaria. Decisivo accompagnare il percorso detentivo con un iter educativo tale da favorire l’acquisizione di una dimensione di responsabilizzazione, nel solco del lavoro che encomiabilmente viene fatto dagli operatori nelle nostre due strutture di Nisida e Airola».

Per anni si è battuta per fare gioco di squadra, per unire il lavoro dei giudici e pm con quello di famiglie e scuole: a che punto è questo percorso?
«È stato un lavoro entusiasmante che, nel rispetto delle reciproche competenze, ha creato una rete di reciprocità tra tutte le realtà istituzionali del distretto. E già questo è un positivo bilancio. Ma la complessità del territorio ulteriormente aggravata dalle ricadute della pandemia impone la urgente necessità di portare avanti un fattivo percorso di integrazione e di cooperazione di tutte le “energie” territoriali, accogliendo l’invito del nostro Arcivescovo, don Mimmo, a tutela dei ragazzi più fragili».

Da qualche giorno è andata in pensione: c’è un’immagine che porta con sé tra le tante storie di vita che ha avuto modo di conoscere?
«Tante le suggestioni e le emozioni: il volto sorridente del minore abbandonato, magari con gravi disabilità, tra le braccia del migliore genitore che potesse avere; quello della persona adottata che finalmente ha ritrovato l’abbraccio della mamma naturale ormai anziana; quello del minore straniero non accompagnato che ha ritrovato il calore e le cure in una struttura di accoglienza; quello di un’adolescente straniera accolta in una famiglia che già con figli adulti ha voluta accoglierla come la più piccola e la più amata; quello dei tanti dei minori vittime di inaudite violenze intrafamiliari “rinati” fisicamente e affettivamente in sani contesti familiari; quello dei tanti genitori “recuperati” nella loro genitorialità grazie alla responsabile risposta ai percorsi di sostegno attivati nei loro confronti. Insomma, tanti volti che rendono visibile l’immagine della solidarietà». 

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