Napoli, parla il 17enne aggredito: «Mi hanno spaccato i denti solo perché erano annoiati»

Napoli, parla il 17enne aggredito: «Mi hanno spaccato i denti solo perché erano annoiati»
di Leandro Del Gaudio
Martedì 19 Luglio 2022, 22:59 - Ultimo agg. 21 Luglio, 09:19
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A sfogliare i giornali dell’ultima settimana, non può non riconoscersi negli allarmi lanciati a Napoli. Emergenza giovanile, violenza gratuita, uso di armi o coltelli, azioni da arancia meccanica. Ma anche un senso di impunità collettivo, come se poi l’intervento della giustizia facesse paura solo a pochi, come se fosse una sorta di finzione in cui anche gli arresti o le condanne alla fine sembrano prendere posto in un copione. E invece la vita di uno studente, negli ultimi mesi è ben altra cosa rispetto a un post su Facebook o a una storia di Instagram. Già, perché la vita di un 17enne, dallo scorso nove gennaio, fa i conti con un danno permanente alle gengive, dopo che gli hanno spaccato quattro incisivi centrali. 

Cosa accadde quel nove gennaio? 
«So che cosa mi è successo, ma non ho ancora capito per quale motivo.

Eravamo all’interno di un negozio aperto “acca 24”, di un distributore di bibite nei pressi di via Mezzocannone. Eravamo io e un mio amico, intorno alla mezzanotte, quando vidi dei ragazzi che procedevano verso di me con fare minaccioso». 

In che senso? 
«Mi chiesero se conoscessi un tale, ma era un pretesto. Poi si sono avvicinati e mi hanno colpito a colpi di pugni, schiaffi e calci. Erano almeno in tre e non hanno agito a mani nude». 

In che senso? 
«Avevano una specie di bastone, una mazza, ma brandivano anche una bottiglia. Ecco uno degli ultimi colpi che ho subìto è stata una bottigliata al viso, che mi ha fatto saltare i denti, provocandomi - e lo dice anche il referto - dei danni permanenti alla cavità orale».  

Ha provato a darsi una spiegazione per quanto avvenuto? 
«Credo che sia stato un esercizio di violenza fine a se stesso. Vede, non c’è stato il classico “sguardo di troppo”, uno spintone, una parola fuori posto, come si legge in alcuni pezzi di cronaca quando si raccontano episodi del genere. No, solo violenza per riempire il vuoto di una serata». 

Cosa chiede ora alla giustizia? 
«Che venga fatta giustizia. La cosa che mi addolora di più in questa vicenda è aver scoperto che i miei aggressori, parlo dei tre ragazzi che sono stati collocati in una comunità di recupero, alla fine hanno storie e profili molto simili al mio». 

In che senso? 
«Mi hanno detto che vengono da famiglie borghesi come la mia; studiano, vanno a scuola, frequentano cinema, stadi e palestre, ascoltano musica e viaggiano esattamente come faccio io. Persone integrate negli stessi ambienti e schemi di vita che frequentiamo noi. Se sono vere le prime ricostruzioni fatte dagli inquirenti (e non ho ragione di dubitare, dal momento che ho riconosciuto i miei aggressori), mi accorgo che qui non parliamo di soggetti alienati, magari provenienti da periferie degradate e situazioni al limite. No, qui parliamo di violenza fine a se stessa, consumata da soggetti che non avevano scopi precisi: non ci hanno aggrediti per consumare una rapina o una estorsione, non c’era un movente economico o una vendetta in atto. Qui, l’unico obiettivo è fare del male, agire in modo prepotente: fare del male per fare qualcosa, in una serata piena di nulla, in una vita carica di cose inutili». 

Proviamo a rivolgerci direttamente a chi quotidianamente esce di casa armato.
«Mi limito a dire: ma cosa vi manca? La vita, specie alla nostra età, può essere meravigliosa se non ci sono traumi o problemi gravi. Può diventare un inferno, se invece avvengono episodi simili a quello che mi è accaduto».

Cosa l’addolora di più in questo momento?
«Il senso di impotenza che ti capita quando avvengono certe cose. Non parlo solo di me, ma anche per i miei genitori, che - ora più che mai - sono sempre in ansia, in apprensione, ogni volta che esco di casa. Mi auguro che chi ha sbagliato subisca una pena che possa aiutarlo a maturare, a crescere, a diventare una persona civile, al riparo da istinti animaleschi». 

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